Duran Duran
Paper Gods

2015, Warner Music
Pop Rock

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 19/09/15

Con le spalle coperte dallo sfavillio degli anni d'oro, lo stesso che è riuscito a celare quegli aloni di mediocrità e dipendenze, i Duran Duran ritornano con "Paper Gods". Seguito del riuscitissimo "All You Need Is Now", disco che segnò la rinascita del quartetto inglese dopo un decennio d'oblio, il nuovo lavoro è lo spaccato della montagna russa di esperienze della band nel mondo dello show-business.
 

Preceduto da una massiccia campagna pubblicitaria, promossa soprattutto online, "Paper Gods" è un'uscita tanto auto-ironica quanto celebrativa. Basta infatti dare anche solo un'occhiata all'artwork per riconoscervi alcuni elementi dei grandi successi del passato: la tigre di "Seven And The Ragged Tiger", il cappello da autista per "The Chauffeur", la silhouette dal controverso video di "Girls On Film" e infine le labbra della donna copertina di "Rio".

 

Buon biglietto da visita della suddetta ironia è la stessa titletrack in cui i Duran Duran si autoproclamano dei di carta richiamando non solo l'immagine con cui i media li hanno sempre dipinti ma anche la fragile facciata di divinità dietro cui, negli anni si sono consumati sia i cambi di line-up che i vari problemi personali. Dopo trent'anni di carriera pare quindi arrivato il momento di tirare le fila di tutti gli alti e bassi e raccontarsi in dodici tracce. E questo nonostante che Le Bon e compagni abbiano già superato i 50.

 

Nell'atto di guardarsi indietro, la band si è appellata non solo a Mark Ronson, già presente nel 2010, ma anche a Nile Rogers, chitarrista degli Chic e produttore sia del singolo "Wild Boys" che dell'album "Notorious", Mr. Hudson, fautore di alcune vocals nella title-track e Josh Blair. Ovviamente le diverse prospettive si fanno sentire e "Paper Gods" risulta un disco decisamente variegato pur rimanendo fedele allo stile di sempre. Non c'è una canzone che si somigli, anche solo per il suono di un synth o un giro di basso. Niente. Ogni brano è una galassia a sé stante che contribuisce a realizzare un microcosmo formato CD. Si riconoscono richiami a brani del passato, similitudini più che altro nella struttura o in certe vibrazioni.

 

Figurano inoltre numerosi ospiti importanti tra cui John Frusciante, presente alle sei corde in ben tre brani, Janelle Monàe, Jonas Bjerre e Nile Rogers stesso. Insomma, è un album ricco di inflessioni differenti capaci di mettere l'accento su dettagli forse infinitesimi ma comunque in grado di donare maggior carattere alle composizioni.

 

Da un punto di vista strettamente musicale, "Paper Gods" è estremamente articolato. Contiene molti elementi che di primo acchito possono suonare dissonanti, quasi cacofonici, ma che, se ascoltato con attenzione, funziona.

 

E' il caso di "Paper Gods" che al primo ascolto pare molto complessa a causa delle diverse linee vocali, i filtri e il quasi rap alla "White Lines", ma che invece è un brano di una semplicità disarmante in cui basso e synth, nella migliore tradizione degli anni '80, sono assoluti protagonisti.

 

A richiamare i '90 ci pensa invece "Last Night In The City", vero e proprio capolavoro grazie alle sue tinte dance/pop e un'anima alternative rock piuttosto accentuata che rende il tutto più dinamico. Le splendide linee vocali di Kiesza e il synth poi ricordano un po' "All You Need Is Now" sebbene stavolta l'atmosfera sia differente, più moderna.

 

Seppur molto meno diretto di "All You need Is Now", "Paper Gods" scorre bene fino a "Danceophobia" ovvero il brano centrale che spezza in due la tracklist, quasi in parallelo a quello che accadde alla band tra il 1994 e il 2001. Un pezzo tendente al dance con tutte le caratteristiche peggiori del genere: linee noiose, vocals poco organici con il resto e soprattutto il parlato di Lindsay Lohan che rende il tutto ancora più macchinoso. Un tentativo, fallito, di allontanarsi dal classico repertorio Duran Duran. Fortuna vuole che i pezzi seguenti, ovvero la più classica ballad "What Are The Chances?" e la movimentata, nonché pop-oriented, "Sunset Garage" risollevano i toni. Un po' come successe con "Astronaut" nel 2004 dopo il mediocre "Pop Trash" del 2000.

 

Spiccano poi "Butterfly Girl", mix ben congegnato tra le influenze disco di Nile Rogers, ai confini col rock, "Only In Dreams", brano mascherato da ballad che si rivela poi a dir poco funk. Lo stesso vale per "The Universe Alone", ovvero la traccia più standard, contenente tutti gli elementi che hanno contribuito al successo planetario della band: ritmo accattivante, melodia catchy e quel tanto di dolcezza che rende il tutto un po' più chic.

 

In conclusione, "Paper Gods" non è perfetto. Manca la freschezza di "All You Need Is Now" e per certi versi ricorda "Red Carpet Massacre". La band è invecchiata - è inutile negarlo - ma ha comunque provato a rimettersi in gioco lavorando, con i giusti collaboratori, a una formula grazie alla quale far coesistere il nuovo con quanto era risultato vincente in passato.

 

Ciò nonostante la nostalgia per i vecchi fasti prevale sulla modernità, probabilmente anche per prudenza. Non aspettatevi quindi niente di particolarmente innovativo: I Duran Duran ormai hanno imparato i propri limiti e, nonostante qualche cauto guizzo, si attengono saldamente a quello che sanno fare.





01. Paper Gods (ft. Mr. Hudson)
02. Last Night In The City (ft. Kiesza)
03. You Kill Me With Silence
04. Face For Today
05. Pressure Off (ft. Janelle Monàe e Nile Rogers)
06. Danceophobia (ft. Lindsay Lohan)
07. What Are The Chances (ft. John Frusciante)
08. Sunset Garage
09. Change The Skyline (ft. Jonas Bjerre)
10. Butterfly Girl (ft. John Frusciante)
11. Only In Dreams
12. The Universe Alone (ft. John Frusciante)

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