Greta Van Fleet
Anthem Of The Peaceful Army

2018, Republic Records
Rock

Recensione di Paolo Stegani - Pubblicata in data: 19/10/18

Eccolo. C'è voluta pazienza, ma il tempo trascorso ha soltanto alimentato la curiosità collettiva. La domanda era una ed una soltanto: si è trattato di un fulmine isolato o sta arrivando la vera tempesta? La risposta è un Inno, quello di un'Armata Pacifica che sbaraglia dubbi e perplessità, piazzando invece la prima di (si spera) tante bandiere sul continente ancora conquistabile del rock'n'roll. E a farne parte sono quei quattro giovanissimi soldati armati di grande talento che a inizio anno hanno invaso le radio con la bomba "Highway Tune". L'attesa che ha accompagnato l'uscita di "Anthem Of The Peaceful Army", primo album della band americana rivelazione dell'anno Greta Van Fleet, è finita, con la prova concreta che tutto è invece appena cominciato.

 

Togliamoci il dente: sì, è già stato appurato che la voce di Joshua Kiszka somigli in maniera impressionante a quella di Robert Plant, e che il loro sound accarezzi e a volte abbracci forte quello degli Zeppelin, che si tratti di sezioni ritmiche o melodiche. Sì, il richiamo è fortissimo e può risultare ad alcuni indigesto, puristi in primis. No, non è uno stucchevole tentativo di emulazione, e a scriverlo è un fan del Dirigibile di non poco conto. La verità, ricavabile già dall'overture di "Age Of Man", è che il mosaico in questione ha tasselli sonori di un'epoca lontana e irripetibile, ma che raffigurerà immagini nuove senza imitare il passato, piuttosto rievocandone il fasto. Vi pare poco? Così com'è sempre stato nel corso di questi mesi, l'arma vincente dei Greta Van Fleet si conferma ancora una volta la chiarezza di intenti: i paragoni illustri non li hanno spaventati fino ad ora, e così continua ad essere. Da un insieme di evidenti dejà vu stilistici emerge tuttavia l'anima autentica di un gruppo con un'identità, tutta da mostrare e che non si vergogna di affondare le proprie radici nel suolo sacro. Poco c'è da vergognarsi dopo tutto, se a quell'età si possiedono doti e personalità simili.

 

"Age Of Man" dà il benvenuto con una dolcezza insolita per una traccia d'apertura, primo dei colpi di scena: vi trova spazio anche la crudezza di un riff hard, ma non è che la premessa per una sezione melodica centrale epica in ogni aspetto. "When The Curtain Falls" vanta il riconoscimento di brano più completo, in quanto hit pretenziosa e riuscita di metà tracklist, fra ottimi arrangiamenti e un ritornello dalla melodicità pericolosa. Appurate nel corso del 2018 le capacità dei Van Fleet quando si tratta di aggressività, l'album permette per la prima volta di testarne le composizioni più tranquille ed intime, ed è forse in esse che il quartetto racchiude le vere soprese del primo lavoro in studio. Che in generale il gruppo tenda ad un connubio di nostalgia e lungimiranza è ben chiaro, ed è forse stato anche il mix giusto con cui attirare attenzioni e consensi. È difficile pensare che prima o poi non debbano preferire l'una all'altra. E se invece no?

 

La capacità di confondere le acque attorno alla propria verità è uno stratagemma prezioso, su cui si possono costruire intere carriere. Ben venga allora questa confusione di idee ed aspettative. Non dev'essere soltanto questo, lo sguardo da dedicare alla band: non se ne afferrebbe il concetto generale, così facendo. Spostiamoci per un attimo dall'analisi dello stile a quello della composizione. Gli arrangiamenti sono notevoli, lo è la tecnica, lo è l'alternanza di atmosfere. La voce di Kiszka spinge e rallenta a piacimento, più che per dovere. "Brave New World" è un connubio di dramma e speranza eccezionale, la title track finale il parto più sincero di una chitarra acustica ed un tamburello. Su 10 brani, in 9 combattono per il titolo di campione ("You're The One" è il passo falso obbligatorio, meno rifinito e personale degli altri). Convince il risultato nel suo intero, per la bellezza dei brani ancor prima che per le riminiscenze musicali che i Greta Van Fleet sono in grado di produrre.

 

"Anthem Of The Peaceful Army" è davvero un bel disco, colmo di ottimo materiale ma soprattutto privo di attenzione nei passi compiuti. C'è l'impeto della gioventù, di un messaggio da urlare, della voglia di fare e di strafare. Ed è giusto. L'attenzione maggiore dobbiamo averla noi, invece, nel saper dar loro tempo e spazio. Il primo capitolo della saga Van Fleet è più che godibile, ed è questo che deve importare. Si pensa già lecitamente agli sviluppi futuri della trama, alla piega che può prendere il progetto quando busserà alla porta l'inevitabile bisogno di spingersi oltre se stessi ed oltre i fantasmi anni '70. Una curiosità che nasce solo da band fertili. Dai Greta Van Fleet potrebbe emergere di tutto. Potrebbe...





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