James LaBrie
Impermanent Resonance

2013, InsideOut Music
Metalcore

LaBrie ritorna con il suo progetto solista metalcore, ma questa volta non delude
Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 29/07/13

Nessuno vorrebbe leggere la recensione di un disco solista, se questa fosse basata sui paragoni tra la band d’origine e il musicista in questione. Avrebbe senso? Certo che no. Tenendo bene a mente questo concetto ci accingiamo ad analizzare “Impermanent Resonance”, terzo lavoro solista del cantante canadese, nonché voce dei Dream Theater, James LaBrie. Il precedente “Static Impulse” aveva diviso nettamente i fan dei Dream Theater – che speravano in una sorta di copia/incolla – e coloro che invece si aspettavano qualcosa in più dalla voce LaBrie, finalmente “libera” di esprimersi al di fuori dei confini progressive della band madre. Questo nuovo lavoro segue sì le coordinate metalcore del suo predecessore, ma sembra voler evitare una volta per tutte il “paragone” (alquanto inverosimile, visti i diversi generi proposti) con Petrucci & Co, per giunta riuscendoci. Il risultato è un album sicuramente irrobustito da un buon songwritting e dal contributo del buon Matt Guillory, ormai indispensabile al canadese in fase di scrittura e ora anche alle tastiere ed alle backing vocals.

 

Partiamo dal fatto che la vera mancanza del predecessore era proprio quella forma piatta e plastificata che salvava giusto qualche canzone ma che non bastava a mandare avanti un album. Il grande pregio di questo terzo lavoro, infatti, è la presa di coscienza dei passati errori, nonostante la scelta di mantenere la forma della classica canzone metalcore, senza destabilizzare il sound, ma enfatizzando l’emozione compositiva. La piena consapevolezza della melodia risulta essere il punto di forza dei brani, disseminati di ritornelli ben incastonati, backing vocals efficaci e mai casuali unite ad un appeal fresco quanto radiofonico. Sarebbe un grave errore non citare il lavoro fatto con la chitarra da parte dell’italianissimo chitarrista Marco Sfogli, diviso tra prepotenti quanto memorabili riff e intro acustiche (“Back On The Ground”), a rimarcare un certo background progressive.

 

Certo è che la prima volta che il sottoscritto ha premuto play per ascoltare “Undertow” si è dovuto guardare le spalle svariate volte – dopo l’intro della suddetta – prima di rendersi conto che nessuno dei componenti della band svedese Amaranthe avrebbe fatto capolino ed afferrato con forza il microfono del signor LaBrie. Una volta riacquistata la calma continuiamo l’ascolto e ci imbattiamo in un paio di canzoni che potrebbero benissimo sfidare il singolo “Agony”: stiamo parlando di “Lost in the Fire” e “Destined To Burn”, entrambe intercalate da memorabili ritornelli, quelli che ti ritrovi a cantare praticamente ovunque. Non è da meno l’ispirazione modern metal di “Amnesia”, dove ancora una volta un buon ritornello porta a casa un discreto risultato.

 

Se ascoltate “Fatal Tragedy” prima di cadere tra le braccia di morfeo o vi raggomitolate al buio ascoltando “Forsaken”, questo “Impermanent Resonance” non è un album per voi. Vi dirò di più: non sarà necessaria alcuna lotta tra fan per “capire” questo disco, né serviranno a qualcosa insoliti paragoni o prese di posizione disgustate... Ci troviamo semplicemente davanti ad un artista che ha saputo discostarsi dalla propria band per affrontare un genere più immediato – ma non per questo scadente. Il consiglio che vi do – sta a voi seguirlo o meno – è racchiuso in sole tre parole: open your mind.





01. Agony
02. Undertow
03. Slight of Hand
04. Back on The Ground
05. I Got You
06. Holding On
07. Lost in The Fire
08. Letting Go
09. Destined to Burn
10. Say You’re Still Mine
11. Amnesia
12. I Will Not Break

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