Kadavar
Rough Times

2017, Nuclear Blast
Rock Psychedelic / Stoner

Recensione di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 29/09/17

Si ringrazia Stefano Torretta per la collaborazione

 

La parentesi di spazio-tempo disegnata dal sound dei Kadavar prospera. In una anacronistica ascesa cosmica, sparati in orbita da un nostalgico angolo berlinese, i tre moschettieri d'ambra-criniti invitano l'ascoltatore a perdersi oltre l'ultima frontiera della loro creatività.

 

Degnamente anticipato da iniziative video perfettamente caratterizzanti l'autoironia, e al contempo la profondità, dei soggetti in questione, "Rough Times" è il più recente dei tatuaggi sulla pelle di Lupus & Co. come confessato ai nostri microfoni dallo stesso Tiger (batterista della band, ndr.) durante la nostra intervista.

 

Foriera degli elementi strumentalmente vincenti della release, la opener & titletrack stessa non può lasciare indifferenti e statici. A retrò-propulsione avviata s'innesta in orbita anche la più cosmica e vibrante "Into The Wormhole". Scorciatoia a spirale, foderata di sonorità vintage e sbuffi simil-locomotivi, punta alla nebulosa fertile di ulteriori bassi, riverberi e trascinanti linee vocali di "Skeleton Blues".

 

Ulteriori spire di una proposta che idealmente ricalca le curve di quello scivolo capovolto che un tempo fu dei The Beatles (per i profani stiamo tutt'altro che velatamente alludendo a "Helter Skelter", brano tanto caro alla band da coverizzarlo come B-side del primo singolo, ndr.) sono dilatate dalle sferzate settantiane in loop di "Die Baby Die" e dal tiro sotterraneo di "Vampires".

 

Se fino a questo punto dell'ascolto avete tollerato di buon grado gli effetti applicati al cantato di Lupus, ben più in prima linea che nel precedente "Berlin", questo album fa per voi. Altrimenti sappiate che la parte più ostica si è conclusa. Nelle successive "Tribulation Nation" o "Words Of Evil" (entrambe molto sabbathiane), la soluzione scelta per la voce funziona eccome, rendendo il tutto ancor più evidentemente un Ozzy-tributo ben riuscito. I toni si ammorbidiscono poi con lattacco della successiva "The Lost Child", seguita dalla beatlesiana "You Found The Best in Me", dove la produzione del cantato risulta invece perfetta. E lo stoner in tutto questo? Beh, Tiger stesso ci ha confermato di non aver particolare legame col genere in oggetto ma concorda comunque che la bassa accordatura delle chitarre, ben più loud & distorded than before sia innegabile e quindi potrebbe chiudere un occhio a farsi affibbiare questa etichetta.

 

Esasperazione degli effetti vocali (e incubi tormentati di Tiger) permettendo.. gran bel disco per una band che si conferma in possesso di tecnica, immaginazione e carattere da vendere.





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