Leprous
Pitfalls

2019, InsideOut Music
Progressive Rock/Metal

Uscire dagli schemi sicuri di ciò che è consolidato per perseguire l'innovazione creativa: da diciotto anni i Leprous hanno rispettato il loro credo senza dubitare. Così nasce "Pitfalls", sesta fatica in studio della band. Un album fresco e impattante, pronto a trascinare l'ascoltatore in una nuova dimensione. 
Recensione di SpazioRock - Pubblicata in data: 25/10/19

Articolo a cura di Dennis Radaelli 
 
Diciamocelo francamente: in casa Leprous la voglia di sperimentare ed esplorare nuovi orizzonti musicali non è affatto una novità, anzi, possiamo dire che oramai la "ricerca del nuovo" è un mantra consolidato che la band si prefigge di ricercare ogni volta in cui decide che è arrivato il momento di mettere piede in studio. Se già il precedente “Malina” ne è stata una chiara -e riuscitissima- dimostrazione, il quintetto norvegese rimane fedele alla propria formula imponendosi un nuovo ago della bilancia, spostando un po’ più su la famosissima asticella, attraverso un progetto molto ambizioso che risponde al nome di “Pitfalls”, sesta fatica in studio. Se già non fosse bastato rinnovare la propria direzione musicale, la band decide di voltare pagina anche per quanto concerne il comparto tecnico, coinvolgendo in fase di missaggio niente di meno che Adam Noble, rinomato per il suo lavoro dietro le quinte con band come Placebo e Nothing But Thieves, e promuovendo il frontman Einar Solberg al ruolo di produttore insieme allo storico David Castillo.

Ed è proprio Solberg il protagonista indiscusso di “Pitfalls” e la cosa appare chiara sin dall’inizio. L’album prende la voce di Solberg come il perno principale attorno a cui ruotare, viene lasciata destreggiarsi per tutto il disco nella maniera più limpida e libera possibile, nelle sue maestrie e nei suoi punti di forza. Un protagonismo che non è semplicemente “artistico”: mai come prima il cantante-tastierista si è mostrato al pubblico in una veste così personale, rendendoci partecipi della sua lotta contro la depressione, tema cardine ricorrente nella maggior parte delle nove tracce che compongono il disco. Ciò risulta evidente sin dai primi momenti della traccia d'apertura “Below”, introdotta da sintetizzatori tetri e da un cantato fragile, che sa di sconfitta. A giocare un ruolo chiave nella drammaticità dei brani sono gli strumenti ad arco (curati dal violoncellista Raphael Weinroth-Browne e dal violinista dei Bent Knee Chris Baum) che, amalgamandosi perfettamente alla voce cristallina di Solberg, donano un'atmosfera dai sapori cinematografici e apparentemente semplici, complice anche la scelta di adottare strutture assimilabili alla forma canzone, senza scadere nel banale. Ciò è evidente nella successiva “I Lose Hope” e nella ballata “Observe The Train”, tra i momenti più alti della prima metà del disco.

Se è vero che gli archi sono fortemente presenti nel disco, d'altro canto le chitarre di Tor Oddmund Suhrke e Robin Ognedal sono apparentemente poste in secondo piano, dialogando per lo più con le dirette quanto intricate ritmiche del batterista Baard Kolstad e del bassista Simen Børven nelle strofe, ed esplodendo soltanto nei ritornelli, come emerge nel trittico composto da “Alleviate”, “At The Bottom” e “Distant Bells”. E sono proprio nelle ultime due tracce menzionate che “Pitfalls” raggiunge il suo picco: “At the Bottom” si distingue per la sua contrapposizione tra l'elettronica delle strofe e l'estesa sezione centrale dominata dagli archi, mentre “Distant Bells” è una triste ballata pianoforte/voce che cresce lentamente fino a un finale che Einar protagonista di una performance da brividi.

La formazione di Notodden tuttavia decide di riservare una conclusione drastica e inaspettata con due brani. Il primo è “Foreigner”, che strizza l'occhio a “Malina” grazie alle sonorità spiccatamente rock (fa eccezione solo una breve sezione posta tra il ritornello e la seconda strofa, dominata dal sintetizzatore e da uno splash fill di Baard), mentre il secondo è “The Sky Is Red”, il pezzo più pesante del disco nonché tra i più lunghi della carriera della band grazie agli oltre undici minuti di musica. Esso si mette in luce per il suo carattere sperimentale, passando da elementi elettronici, riff distorti, un assolo di chitarra (il primo dai tempi di “Bilateral”) fino a un coro quasi apocalittico, che diviene più epico nel climax finale che domina la seconda parte.

Con “Pitfalls”, i Leprous hanno apparentemente compiuto la metamorfosi iniziata nel 2013 con “Coal”, lasciandosi definitivamente alle spalle le sonorità progressive metal/rock più “da protocollo”, ma mantenendo la medesima sensibilità artistica capace di catturare l'ascoltatore attraverso un songwriting maturo e mai banale. Anche pochi ingredienti possono garantire il risultato sperato se scelti con un'attenta cura, e Einar e compagni dimostrano di saper padroneggiare questa arte regalandoci uno dei migliori dischi della loro carriera, che sarà sicuramente oggetto di discussione tra gli appassionati del genere.





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