Ozzy Osbourne
Ordinary Man

2020, Sony
Heavy Metal

"La verità è che non voglio morire da uomo normale"
Recensione di Simone Zangarelli - Pubblicata in data: 22/02/20

Qualcosa è cambiato nella mente di Ozzy Osbourne. Il Madman sempre fuori dai binari sta diventando un uomo normale, un "Ordinary Man"? Certo, un arzillo signore di 72 anni che ha scritto pagine fondamentali della musica potrebbe anche godersi la meritata pensione: niente più Black Sabbath, niente più eccessi e una famiglia che l'aspetta a casa unita (sembra) più che mai. E invece Ozzy, all'anagrafe John Michael Osbourne, sceglie di mettersi in gioco ancora una volta e lo fa con sincerità disarmante. Il 2019 è stato l'anno peggiore per il Principe Delle Tenebre: polmoniti, infezioni del sangue, un incidente domestico cui sono seguiti tre interventi chirurgici e mesi di totale immobilità lo hanno spinto a un bilancio della sua esistenza nella prospettiva di un'eventuale fine.

E in "Ordinary Man", dodicesimo lavoro da solista che arriva a 50 anni esatti dall'esordio con i Black Sabbath, si sente tutto il peso della riflessione di un uomo affaticato ma decisamente più saggio, introspettivo e convinto di non poter dare nulla di ciò che ha per scontato, soprattutto la vita stessa. Altri eventi si sono susseguiti nell'ultimo travagliato periodo: il tour che non riesce a concludere, l'annuncio della malattia che lo affligge da tempo, il morbo di Parkinson, e la richiesta ai fan di sostenerlo in questo momento difficile hanno tenuto tutti col fiato sospeso e assimilato le sue vicende a quelle del compianto amico e collega Lemmy Kilmister, "I miei tanti amici sono lì ad attendermi". Per questo l'Uomo Normale è un disco tetro, quasi sepolcrale ("Under The Graveyard", "Goodbye", "Today Is The End") ma intriso di amore. Grande cura nei testi e una produzione firmata Andrew Watt sono gli elementi più innovativi di questo nuovo capitolo dell'ex Black Sabbath, cui si aggiunge una band d'eccezione, per la prima volta in questa formazione, e prestigiosi ospiti.


Accanto a brani perfettamente riusciti, come "Straight To Hell" in cui le chitarre di Slash fanno la differenza soprattutto nell'assolo, ci sono brani che cedono il passo come "Goodbye", dove il basso di Duff McKagan (altro prestito dai Guns N' Roses) prende il posto della sei corde nel plasmare il sound. "All My Life" è un pezzo di profonda autoanalisi, un Ozzy che si guarda allo specchio con gli occhi di un sé stesso più giovane: "Ero in piedi in bilico / guardandomi da bambino / E lui mi guardava". Anche qui una sezione ritmica esplosiva - frutto dell'intesa fra McKagan e Chad Smith - salva il pezzo dalla banalità e da un finale che non decolla come dovrebbe. L'assenza di Zakk Wylde è il gigantesco elefante nella stanza.

 

ozzy_osbourne_ordinary_man_575

 

Quando inizia il giro di pianoforte di "Ordinary Man" il mondo scompare, le orecchie sono tutte per Ozzy Osbourne ed Elton John che si alternano sulle note di una delle più belle canzoni della discografia del Madman di Birmingham, un pezzo commovente e intenso che suona già come un instant classic. Tutto funziona, compreso il testo, vero manifesto artistico di quest'opera; ogni parte è in perfetta armonia fino ad emergere in uno splendido finale. Un pezzo che vale l'intero disco e che ha l'onore di conferirgli il titolo, segno del recuperato prestigio di compositore di super ballad che negli anni '80 lo ha reso celebre come solista e che si era un po' perso con l'ultimo "Scream". Finalmente un assaggio di chitarra acustica introduce un altro pezzo da maestro come "Under The Graveyard", in grado di valorizzare ogni elemento della band, compresa la voce che esce fuori con grinta e personalità nel memento mori "We all die alone". Un inno alla morte che celebra la vita, esplicato ancora meglio nel videoclip dove un giovane Ozzy ancora in preda agli eccessi (che lo porteranno a ben due arresti cardiaci) viene "salvato" dalla futura moglie Sharon. Un incontro di due parti che convivono nella mente del protagonista, quella distruttiva e quella salvifica che assume le sembianze di una donna-angelo capace di disinnescare la bomba ad orologeria.

 

Niente di speciale in "Eat Me", a parte un'intro di armonica suonata direttamente dal Madman. La semi-ballad "Today Is The End" è forse il pezzo più melodico del disco, con parti strumentali interessanti. La bomba heavy metal alla Ozzy è "Scary Little Green Man", brano tradizionale per certi versi e al contempo innovativo soprattutto per un riff di basso da manuali, una svolta creativa necessaria che conferisce colore al disco. Si passa a un'altra ballata "Holy For Tonight", in cui Ozzy si rivolge a un padre che ha la doppia valenza di quello biologico e spirituale, come ad affrontare due grosse presenze con le quali, prima o poi, sente il bisogno di fare i conti. Bocciata la traccia finale, "It's A Raid", che vede la collaborazione di Post Malone alla chitarra ma che risulta fuori contesto nell'album, a metà tra il punk e l'hard rock, accompagnata da una voce pitchata sulle parti più alte e quasi fastidiosa. Stesso discorso per "Take What You Want", il featuring con Travis Scott, che fa pensare al meme di mr. Burns con il cappello, ma risulta comunque un buon pezzo se inserito nel contesto trap.

 

Detto questo, "Ordinary Man" è solo un disco-epitaffio, sulla scia di quel maledetto "Blackstar", e per giunta nemmeno troppo riuscito? Niente affatto. È la dichiarazione di intenti di Ozzy che non vuole  lasciarci da uomo normale, che non si è ritirato a vita privata aspettando la fine dei suoi giorni. Il tempo a sua disposizione lo vuole trascorrere su un palco o in studio a fare ciò che ha fatto da sempre e la cosa non può che renderci felici. La fatica, soprattutto mentale si sente, tanto che in alcuni momenti il disco non brilla per lucidità e pulizia ma nei momenti migliori Ozzy ci dà tutto sé stesso, con spontaneità e grinta, sul crinale dell'eccesso. "Ordinary Man" è la dimostrazione che non è mai troppo tardi per prendere in mano la propria vita e cercare di cambiare, rimanendo integri e pensando agli altri. Un atto di coraggio estremo.


"Don't forget me as the colors fade / When the lights go down, it's just an empty stage"





Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool