Serj Tankian
Orca - Symphony No. 1

2013, Serjical Strike/Reprise
Classica

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 07/10/13

La dimensione musicale (e non solo!) di Serj Tankian è sempre stata variopinta, quasi un alter ego del cantante stesso. Il Nostro, però, sembra non ne voglia proprio sapere di essere ricordato solamente come il cantante dei System Of A Down. Così, dopo le multiformi uscite soliste (“Elect The Dead”, “Imperfect Harmonies”,“Harakiri”), un tour accompagnato dalla Auckland Philharmonia Orchestra, un disco simil-jazz, una collaborazione votata all’elettronica con il musicista Jimmy Urine, è il turno di Orca Symphony No. 1”, mini-album totalmente sinfonico, spontanea evoluzione classica del singer armeno dopo le ultime uscite discografiche.


L'opera si snoda attraverso quattro atti intensi, che attraverso un sentimento sinfonico pervaso in tutto il lavoro sprofondano negli abissi degli oceani, facendoci riscoprire un mondo subacqueo in musica che trascina fin dai primi arpeggi magistralmente eseguiti dalla Karussell Orchestra. Vi chiederete dov’è la mano del nostro Serj in tutto questo. Come abbiamo detto, oltre a seguire un leggero ma composto filo rosso già tracciato anche con l’esperienza live di “Elect the Dead Symphony” l’impronta del Nostro è ben riconoscibile, soprattutto per quanto riguardo le parti di piano (vedi i primi due atti), che pur essendo accerchiate da un’aura serena e avvolgente si ricollegano, ad esempio, a una travolgente “Lie Lie Lie” o a una “Gate 21”.


Quello che contraddistingue invece il secondo atto "Act II - Oceanic Subterfuge" è l’uso malinconico dei violini, che per tutto il brano dirigono un emozionante spartito accompagnati da una vaneggiante schiera di timpani. Il terzo atto "Act III - Delphinus Capensis”, come suggerisce il titolo, è consacrato alla giornata, forse tipo, del delfino dal becco lungo, tra momenti di pura calma marina a sporadici momenti in cui forse la caccia o il movimento ne aumentano gli scossoni. Questi, una volta tradotti in musica - soprattutto con una progressione pianistica iniziale - risultano ancora più bombastici. L’ultimo atto è forse quello che attinge più di tutti la propria ispirazione dalla musica classica, tra un violino solista e l'apparizione del duduk (strumento tradizionale armeno), mentre il finale riprende parte dell’intermezzo iniziale, anche se non è questo il momento migliore dell’album.


Conversion, software version 7.0”... Se state ancora lì a canticchiare “Toxicity” in attesa che il gruppo riesca finalmente a trovare un’intesa (sicuramente non sarà il povero Shavo a darne conferma in pubblico), magari schifando quest’album, allora chi siamo noi per fermarvi? Ma il vero consiglio non è quello di abbandonare una canzone come “Toxicity” o quanto fatto da Serj in precedenza, bensì dare un opportunità a questo lavoro, lasciandovi sorprendere.





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