Se è vero che coltivare l’amore per la buona musica significa essere sempre alla ricerca di opere fatte di passione, dote e perché no una buona dose di tecnica, questo "The Sound of Madness" è il genere di frutto che si spera di poter cogliere. Etichettati prima come post-grunge, poi come hard rock ed infine come alternative metal, gli Shinedown mescolano composizioni hard ad una vena southern che si fa sempre più evidente con l’ascolto. La predilezione per suoni pesanti e corposi derivati da certi Pantera, echi di un doom alla Black Sabbath (più evidenti nei lavori precedenti) e un pizzico di sludge metal ne completano la ricetta esplosiva.
Fatte le dovute presentazioni veniamo ora al disco. A sette anni e tre LP dal loro album d’esordio "Leave A Whisper", gli Shinedown danno alle stampe un opera incredibilmente matura, solida e capace di estasiare, sia per composizioni che per liriche. Il viaggio si apre con una marcetta in crescendo che accende la sensazione che qualcosa di inarrestabile si sta avvicinando. Appena il tempo di metabolizzare la sensazione e la voce dura ed incisiva di Brent Smith comincia a strattonarci con linee vocali serrate, trascinandoci nel pieno di "Devour", pezzo d’apertura dalle sessioni ritmiche precise al millimetro, che si tengono sul confine tra rock e metal. Stiamo ancora cercando di capire cosa sia successo quando la titletrack parte con un filotto di incisi dal piglio incattivito che lasciano spazio a momenti più orecchiabili solo nel ritornello. I presupposti sono quelli di un pezzo spigoloso e poco digeribile ma il tutto risulta invece ricco di melodia, in breve è difficile trattenersi dal provare a cantarla già al primo ascolto. Con "Second Chance" lo spessore dei contenuti e la qualità dell’esecuzione cominciano ad emergere innegabili. "Cry For Help" riporta ai ritmi più accesi, partecipando con le successive "The Crow & The Butterfly", "If You Only Knew" e "Sin With A Grin" ad uno splendido viaggio sulle montagne russe dove le sensazioni si alternano e si mescolano ai limiti dello stordimento. Le liriche e la prestazione vocale di Smith sono straordinarie, regalando immagini magnifiche con una voce che non perde mai di colore o spessore neppure sui toni più alti: “Just like a crow chasing the butterfly, dandelions lost in the summer sky…”. Ma è solo con la successiva "What A Shame" che Smith e compagni raggiungono il loro punto più alto. Mettendo da parte per un attimo il romanticismo più rassicurante, il pezzo recupera il termine nel suo significato originale descrivendo con straordinaria lucidità il modo di vivere di chi è benedetto e al contempo dannato da una sensibilità fuori dal comune: “There's a hard life for every silver spoon, There's a touch of grey for every shade Of blue…”. Questi ragazzi sanno scrivere, sanno comporre e soprattutto sanno poi trasformare tutto in musica. "Cyanide Sweet Tooth Suicide" fa riprendere la corsa ai regimi più alti. Adrenalinica, velenosa e liberatoria. Il resto del disco scorre sui binari ben oliati visti fin qui, concludendo il viaggio con le note di un pianoforte che una dopo l’altra ci toccano nel profondo fino ad un ritornello tra i più sinceri ed esorcizzanti.
Il modo migliore per definire un lavoro come questo "The Sound Of Madness" è denso, vitale e coinvolgente, e se non potrà fare la differenza nella storia della musica a causa dei limiti della distribuzione di certo potrà farla per chi avrà la fortuna di ascoltarlo.
Nota: Se spesso bonus tracks e b-side concidono per scarsa qualità, gli Shinedown smentiscono l’assioma dimostrando una volta di più di essere un cavallo di razza. Ascoltare (e non mancare di leggere) "Son Of Sam" per credere.