All'eterna ricerca dello shock nell'Arte
In un’epoca in cui la musica sembra aver raggiunto l’apice dell’ecletticismo, siamo ancora in grado di sorprenderci per qualcosa di inaspettato?


Articolo a cura di SpazioRock - Pubblicata in data: 18/02/20
Articolo a cura di Marta Scamozzi e Cristina Cannata 
 
La musica è da sempre uno degli strumenti più efficaci per veicolare messaggi e portare avanti battaglie - personali o sociali - accuratamente travestite da opere d’arte: l’innovazione è spesso figlia della trasgressione, e la trasgressione nasce dalle continue reazioni a una situazione sociale noiosa, magari fastidiosa, spesso non più accettata. Se la trasgressione fosse un male, gli adolescenti degli anni Sessanta non avrebbero preso l’abitudine di marinare la scuola per andare ai concerti dei BeatlesDavid Bowie non si sarebbe mai dichiarato gay per poi ritrattare qualche anno più tardi, i punk rockers non avrebbero mai avuto la cresta, il grunge non sarebbe mai nato e probabilmente  Renato Zero avrebbe scelto uno stile più sobrio. In poche parole, il panorama musicale odierno, caratterizzato da migliaia di sfumature che dividono e uniscono intere generazioni, non esisterebbe.
 
Generalmente, il fine di un pensiero artistico è dire e fare qualcosa che induca alla riflessione e, magari, all’azione. Una volta esternato e concretizzato, il pensiero diventa espressione e ha delle conseguenze. Si suole spettacolarizzare il pensiero artistico, cosa che, tendenzialmente, aumenta le probabilità di avere successo, di suscitare qualcosa, di vincere la propria battaglia. Non a caso, c’è una storia di spettacolarizzazione nel mondo della musica, e di esempi ce ne sono davvero tanti. Le performance musicali possono essere tecnicamente perfette, approssimative, buone, imbarazzanti, eccessive; ma tutte hanno una caratteristica in comune: se hanno un impatto emotivo sull’audience, funzionano.

Il pubblico, in effetti,  è alla costante ricerca di qualcosa di stupefacente e che provochi una qualsivoglia sensazione di shock, di imprevisto e inaspettato. Abbiamo bisogno che l’arte ci dica delle cose, ci sollevi dal nostro stato di ordinario intorpidimento. L’arte deve trasmetterci un messaggio, e possibilmente deve farlo in un modo emozionante, tramite un atto rivoluzionario: una nota fuori posto in un contesto dove tutto è accuratamente in ordine, e il gioco è fatto. Eppure, conoscere il messaggio non è sempre la priorità assoluta, perché ciò che ci seduce dell’arte è la sua superficie. Scavando, analizzandone a fondo le radici, ci si rende conto di come i meccanismi sulla quale essa si basa siano complessi: la complessità, a volte, spaventa. Il più delle volte non è neppure consigliabile, scavare fino alle radici. Il mondo dell’artista e quello del pubblico sono talmente distanti che se si amalgamassero probabilmente l’arte stessa assumerebbe un significato diverso. 
 
D’altronde, l’artista non è mente creativa a caso: a lui, secondo Hegel, spetta l’arduo compito di rivelare “la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile”, e, in quanto tale, è il prodotto dello spirito. Comprendere e accettare la verità è un fenomeno per pochi eletti e chi vuole approcciarsi ad essa deve essere in grado di indagarne le motivazioni di fondo.
 
Facciamo qualche esempio. 
 
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Negli anni Settanta, David Bowie lancia un messaggio talmente importante e impressionante da rimanere iconico e attuale dopo cinquant’anni: il gender-fluid rappresenta l’accettazione del proprio io tramite il rifiuto delle etichette. In un momento storico in cui l’omosessualità è un tabù, un artista eterosessuale si espone come testimonial per la comunità LGBT. Noncurante dei pregiudizi, Bowie si propone non solo a introdurre androgenismo e omosessualità in una cultura tradizionale, ma riesce a renderli di tendenza e valorizzarli. Tanto di tendenza e valorizzati che oggi, nel 2020, il messaggio dato mezzo secolo prima resta valido e androgenismo e omosessualità vengono ciclicamente ripresi ogni qualvolta c’è bisogno di ricordare che l’arte è soprattutto libertà di espressione.
 
Però, fino a che punto la libertà di espressione è sincera? C’è un punto oltre al quale poi diventa stucchevole o finta? Un messaggio efficace può essere riciclato, e la bravura dell'artista non sta più nel creare, ma nel ri-trasmettere in un nuovo contesto. Ultimo caso, Achille Lauro, che indossa i vestiti di Bowie nelle sembianze di Life On Mars? per provare a riproporre un messaggio impattante a un pubblico pettinato e molto suscettibile. Il rapper romano lascia da parte i sobborghi periferici e decide di proporsi come personaggio articolato ed elegante, utilizzando  riferimenti a icone storiche per sostenere una canzone tutto sommato modesta. Lauro non offre nulla di nuovo, ma in un momento storico di lotta sociale a favore dell’antidiscriminazione razziale, di genere e di orientamento sessuale, il pubblico raccoglie il bramato shock che cerca e il messaggio, che in qualche modo compare, poco importa se originale o meno. Poco importa se la particolarità della performance non si basa su spontaneità, ma piuttosto sull’attenta costruzione di uno spettacolo. L’effetto è trasgressivo, basta farne parlare. Non si dimentichi che spontaneità e irriverenza possono essere utilizzate per sostenere una dignitosa performance musicale, oppure per compensarne una modesta.  
 
Nulla di veramente nuovo sotto il sole, malgrado se ne dica: già solo all’interno del panorama italiano, se vogliamo limitarci a questo, ci sono tantissimi esempi da poter citare, da Renato Zero che nel 1960, sull’onda del glam rock, si fece affascinare da paillettes e glitter, a Raffaella Carrà che nel lontano 1971 cantava il “tuca-tuca” e iniziava a scoprirsi l’ombelico. Capite? L’ombelico. 
E poi, a livello internazionale, si perde il conto: da Freddie Mercury fino a Elton John, e ancora da George Michael a Cher e Lady Gaga che forma il suo piccolo esercito sulle note di “Sei bello così, perchè Dio ti ha fatto così”. 
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L’interpretazione di un messaggio artistico non è mai cosa semplice,  e a volte è la mente creativa stessa che non riesce a trovare un’efficace via di espressione e, di conseguenza,  a concretizzare la propria verità in maniera sana. Nel 1969 un Jim Morrison completamente ubriaco si presenta  in ritardo sul palco del Dinner Key a Miami, per esibirsi con i The Doors. Morrison si rivolge al pubblico alternando insulti pesanti e dichiarazioni di affetto, prima di spogliarsi completamente con l’intenzione di mostrare al pubblico i suoi genitali. La polizia, a quel punto, interviene: Jim Morrison non è in grado di suonare, il concerto è un fiasco totale e il contesto è imbarazzante. Nonostante ciò, l’esibizione al “Dinner Key” rimane una delle più interessanti nella storia dei The Doors; e al pubblico rimane la facoltà di poter dire “quella sera, al Dinner Key, io c’ero.” 
 
Il peso dell’uomo d’arte può non essere un peso semplice da portare: da Michelangelo a Van Gogh, da Francis Bacon a Virginia Woolf, e ancora Robert Schuman, Jeff Buckley, Syd Barrett, Amy Winehouse, Kurt Cobain, John Frusciante: tutti uomini che non hanno retto al peso del messaggio che la loro mente ha generato, ma poco importa. L’effetto è rivoluzionario e trasgressivo; proprio ciò di cui l’arte ha bisogno per far parlare di sé. Proprio ciò che serve al pubblico. 

Esempio ancora più recente in tema "degenerazione" di un’espressione artistica è Morgan, uno dei personaggi più controversi del rock italiano. L’ex Bluvertigo, durante la famosa kermesse di Sanremo, modifica il testo della canzone presentata in gara, rimpolpandolo con una serie di insulti diretti al collega cantante  Bugo con cui condivide  il palco e la canzone. L’episodio è distruttivo, sia a livello artistico che a livello personale. La reazione mediatica dei giorni seguenti è stata esplosiva: d'altronde questo fatto non è altro che una forma di spettacolarizzazione derivante da un ego creativo che ha bisogno di darsi sfogo. Lo spettacolo c'è e diverte per quello che è, ma forse non lo farebbe se si andasse più a fondo.
 
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In un’epoca in cui la musica sembra aver raggiunto l’apice dell’ecletticismo, siamo ancora in grado di sorprenderci per qualcosa di inaspettato? Per quanto, in quanto uomini, siamo spesso attirati dall’omologazione, nell’arte vediamo la nostra via di fuga verso la stranezza.
E’ questo che ci piace dell’arte. L’artista può essere costruito in maniera intelligente, spontaneamente o a tavolino; l’importante è che lo show proposto sia memorabile agli occhi del pubblico, l’importante è avere qualcosa da raccontare guardando solo la punta dell’iceberg: sì, perché  se si va in profondità, non si sa cosa si può trovare. Si possono trovare performance ideate nei particolari solo per motivi economici, si può  trovare scarsezza di talento, si possono  trovare tanta depressione e tanto disagio mentale, e si può trovare genio creativo. Vale davvero la pena rischiare, spingendosi oltre il ruolo del destinatario, cercando di comprendere cosa volesse dirci davvero il mittente? Probabilmente no.  Ma poco importa, a patto che l’effetto del messaggio risulti  rivoluzionario e trasgressivo: proprio ciò di cui l’arte ha bisogno per far parlare di sé.



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