A due mesi esatti dalla sua data zero, l’edizione 2024 del Bay Fest entra nel vivo nella settimana di Ferragosto con una scintillante tre giorni al Beky Bay di Bellaria Igea-Marina (RN), in cui a farla da padrona è, ça va sans dire, il punk-rock, con le sue mille sfumature e sottogeneri. Il nostro ritorno al festival romagnolo è coinciso con la seconda di queste tre giornate, caratterizzata dalla forte presenza di elementi ska – in particolar modo con le band d’apertura, Shandon e Less Than Jake – e dal punk-rock melodico degli headliner, gli svedesi Millencolin. Una seconda giornata che si preannuncia dunque spensierata, divertente e piuttosto danzereccia, ben diversa (nonostante le inevitabili similitudini di fondo) rispetto alla data zero di metà giugno, dominata dal pop-punk revival dei Neck Deep e dal punk-rock con venature hardcore dei leggendari Descendents. Ma mettiamo i ricordi da parte e concentremioci sul qui e ora, sempre nella bella cornice del Beky Bay, sulla spiaggia, a due passi dal mare.

Shandon
Ph: Filippo De Dionigi

È una serata tutto sommato piacevole e non eccessivamente afosa per essere un giorno di agosto in una zona in cui l’umidità generalmente si fa sentire in modo molto forte. Sono le 19:30 quando sul palco fanno il loro ingresso Olly Riva e i suoi Shandon, storica band italiana ska-core – si definiscono così per convenzione, ma in realtà sono anche tanto altro. Senza tante cerimonie, i Nostri partono subito in quarta con “Washin’ Machine” e “Ruvida”, per poi proseguire con la stessa intensità e carica con “Steady Night” e “A Knightly Forest”. Senza ombra di dubbio quello degli Shandon è un set che non tradisce le attese, anzi è una riuscitissima celebrazione di una carriera che va avanti, tra pause e riprese, da trent’anni esatti. L’unico appunto (se così si può chiamare) che si può fare riguarda il predominio assoluto di brani tratti dagli album “Fetish” (2000) e “Not So Happy To Be Sad” (2002), ben 13 canzoni sulle 21 che compongono la setlist, lasciando relativamente poco spazio ad altro materiale altrettanto meritevole, in particolar modo “Sixtynine” (2004), rappresentato dalle sole “Viola” e “Like I Want”, entrambe tra le migliori suonate dai Nostri. Chiusa questa piccola parentesi, va ammesso che gli Shandon dal vivo sono irresistibili, la sezione ritmica e i fiati svolgono un lavorone a supportare e a valorizzare il talento cristallino di Olly Riva. E il pubblico apprezza tanto, tantissimo.

Tra i migliori episodi del set segnaliamo anche “Egostasi”, il classico “Evoluzione”, l’omonima cover dei Casino Royale, “P.N.X.” (veramente da pelle d’oca) e l’immancabile “Janet”, eseguita alla vecchia maniera con tanto di wall of death durante l’incipit. “Evoluzione”, “Noir”, “Viola” e “G.G. Is Not Dead” sparate di fila rappresentano forse il punto più alto dell’intera serata, vuoi per l’intensità dell’esibizione, vuoi perché dentro a queste quattro canzoni c’è tutto, o quasi, il vasto universo musicale degli Shandon. Prima di salutare il pubblico del Bay Fest, nel finale il gruppo bergamasco si esibisce sulle note di “Questosichiamaska” – su stessa ammissione di Olly è ormai diventata un po’ la loro “Albachiara”, con le dovute proporzioni – e della cover di Tina Turner “Rollin’ On The River”, un omaggio sentito alla prima artista che ha avvicinato veramente il cantante al mondo della musica. Tutto molto bello, applausi a scena aperta per gli Shandon.

Jake

Giusto il tempo di un cambio palco e di una birretta al volo, ed ecco che tocca già alla seconda band in programma, i Less Than Jake. Ad aprire le danze – in tutti i sensi – è ovviamente l’energica “Last One Out Of Liberty City”, passando poi rapidamente al singolone “Johnny Quest Thinks We’re Sellouts”. Se gli Shandon macinavano canzoni su canzoni, gli statunitensi si prendono invece i loro tempi, scherzano a più riprese col pubblico, raccontano aneddoti bizzarri e cascano in più di un’occasione nel non-sense più assoluto – come quando chiedono al pubblico cosa ne pensa di Arnold Schwarzenneger senza un motivo preciso o quando Chris Demakes (voce e chitarra) si mette ad urlare “MOZZARELLA CHEESE” al termine di una canzone lasciando interdetti anche i suoi stessi compagni. Tornando alla musica, quello dei Less Than Jake è uno ska-punk divertente e spensierato, che fa ballare e prendere bene, e che si mescola in modo molto interessante alla carica del punk-rock. Questa formula trova una delle sue massime espressioni nel classico “All My Best Friends Are Metalheads”, che dal vivo fa prevedibilmente sfracelli.

Tra le canzoni di maggior impatto rientrano pure “Al’s War” e “Plastic Cup Politics”, accompagnate entrambe da un pogo bello intenso, anche perché Roger Lima (voce e basso) incita apertamente il pubblico prima di eseguire il secondo brano menzionato a “fare quelle cose punk-rock che si fanno di solito“. Quello dei Less Than Jake è dunque un set spassoso e piacevole, un giro sulle montagne russe in cui si alternano con una certa logica pezzi decisamente più slow-paced (su tutti “The Science Of Selling Short”) e altri in cui la componente punk-rock viene fuori prepotentemente – l’esempio più lampante in questo caso è “Gainesville Rock City”. Ed è proprio quest’ultima, insieme alle più note “History Of A Boring Town” e “Look What Happened” (cantate per intero da una buona fetta del pubblico) a mettere la parola fine ad un set in cui Demakes, Lima e soci sono riusciti a strapparci ben più di una risata con le loro stramberie e a farci stare sinceramente bene. Rispetto all’ultima volta che li abbiamo visti, ormai un anno fa, ora sul palco del Bay Fest li ritroviamo più in forma e più sbizzarriti, e il risultato è un set di circa un’ora di cui siamo ampiamente soddisfatti.

Millen

Sono le 22:30 in punto quando le luci del palco del Bay Fest si abbassano e fa il suo ingresso il batterista Frederik Larzon, seguito nel giro di qualche istante da tutti gli altri membri dei Millencolin, per poi attaccare con uno dei loro grandi cavalli di battaglia: “Penguins & Polarbears”. E, prevedibilmente, giù pogo. I quattro musicisti svedesi, nei loro 70-75 minuti a disposizione, attingono da più o meno tutto il loro catalogo, spaziando dalle hit del loro maggior successo discografico “Pennybridge Pioneers” (2000) – oltre alla già citata “Penguins & Polarbears”, anche “Fox”, “Duckpond”, “The Ballad”, “Pepper” e in chiusura il classico “No Cigar” – al punk-rock esplosivo del loro primo album in studio, “Same Old Tunes” (1994), passando per uno dei loro singoli più recenti, “SOS”, tratto dall’omonimo album in studio del 2019. Quello dei Nostri è un punk-rock senza tanti fronzoli, molto orecchiabile ma impattante, che trova la miglior forma in quei brani di un paio di minuti caratterizzati da rapidità e veri e propri muri di chitarre – la già menzionata “Fox”, “Man Or Mouse”, “Bullion”, “Lozin’ Must” e “Mr Clean”. Le interazioni col pubblico non sono numerose come lo sono state coi Less Than Jake, e riguardano principalmente il frontman, Nikola Sarcevic (voce e basso), che cerca di mettere in mostra i suoi progressi con la lingua italiana e la sua passione per le bevande alcoliche popolari nel nostro Paese.

Tirando le somme, l’esibizione degli headliner di giornata si apprezza per la precisione e la dedizione mostrata, allo stesso tempo però risulta mancare qualcosa in termini di carisma ed esplosività. Al di là di questa valutazione puramente soggettiva, i Millencolin procedono spediti, macinano riff su riff e il pubblico generalmente sembra apprezzare il modus operandi della band. Verso la fine della prima parte del loro set, i Nostri ritagliano giustamente del tempo anche per un paio di pezzi più riflessivi, come la bella “True Brew”. La parte finale si apre con un medley piuttosto riuscito che comprende alcune canzoni di inizio carriera degli svedesi (“In A Room”, “The Story Of My Life” e “Pain”), per poi passare in rapida successione a “Pepper” e alla mitologica “Mr. Clean”, opener di “Same Old Tunes”. Dopo essersi concessi una brevissima pausa, i quattro musicisti di Örebro ritornano sul palco per l’encore, durante il quale a risaltare sono “Kemp” – una delle migliori in generale in termini di intensità dell’esibizione – e la celebre “No Cigar”, cantata a squarciagola da buona parte dei presenti, e sulle cui note si conclude la seconda giornata dell’edizione 2024 del festival più importante in Italia del suo genere.

Il Bay Fest si conferma ancora una volta un’esperienza imperdibile per gli amanti del punk-rock e dei suoi derivati, una piacevolissima e divertentissima breve fuga dalla routine quotidiana che si ripresenta puntualmente ogni agosto. Mentre per chi vi scrive, si tratta da una parte di una bella abitudine da ormai diversi anni e, dall’altra di quel festival in cui spesso e volentieri gli artisti e le band d’apertura colpiscono il segno di più degli headliner. E questa non è affatto una cosa negativa, anzi.

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