Lo storico festival britannico Slam Dunk sbarca nel Belpaese per la sua prima edizione italiana a Bellaria-Igea Marina (RN), nella doppia location di parco Pavese e della spiaggia adiacente, il Beky Bay. Dopo l’avvio incendiario del Pre-show Day di giovedì 1 giugno (con Sum 41, Naska e Zebrahead), il Day 1 del festival rifila ai tanti presenti una giornata intensa e ricca di punk-rock puro, senza tanti fronzoli. Una doppia location a pochi passi dal mare, due palchi, una dozzina di artisti, diverse leggende del punk-rock mondiale e quasi otto ore di musica praticamente senza interruzioni: il Day 1 dello Slam Dunk Italy 2023 parte con tutte le carte in regola per essere una di quelle giornate che difficilmente si dimenticano.

Ph: Arianna Carotta / Slam Dunk Festival Italy

LESS THAN JAKE

Il nostro Slam Dunk inizia al main stage del parco Pavese alle 18:25 in punto, quando entrano sul palco – puntualissimi – i Less Than Jake sulle note della leggendaria marcia imperiale di Star Wars. La band floridiana, tra i nomi più noti della scena ska-punk, sin dalle prime battute del proprio set alterna canzoni rapide ed esplosive (su tutte “Last One Out Of Liberty City” e “Gainesville Rock City”) a brani più soft (come “The Science Of Selling Yourself Short”), senza dimenticarsi però i maggiori successi della loro trentennale carriera, tra cui “All My Best Friends Are Metalheads”, “History Of A Boring Town”, “Johnny Quest Thinks We’re Sellouts” e il sing-along “Look What Happened”, che li ha resi – a detta del frontman e chitarrista Chris Demakes – delle superstar in Australia. Anche se, con tutta probabilità, l’esibizione di venerdì dei Less Than Jake non entrerà negli annali del punk-rock, i cinque musicisti della Florida hanno però il merito – condiviso con chi ha suonato in precedenza – di aver scaldato a dovere un pubblico già numeroso e assetato di buona musica, oltre ad aver portato una certa spensieratezza, cosa che non guasta mai.

ANTI-FLAG

Giusto il tempo di una birretta e una piadina, e di ascoltare gli ultimi brani del set degli italiani Rumatera al palco del Beky Bay, che iniziano già a suonare sul main stage gli Anti-Flag. Probabilmente è superfluo dirlo, ma l’esibizione dei Nostri punta tutto sull’adrenalina e sulla genuina voglia di far del casino più che sulla qualità, con un Chris Barker (bassista e seconda voce) che chiede esplicitamente di assistere al mosh-pit più grande dell’intera giornata sulle note del classico “Broken Bones”. Indipendentemente dal fatto che si tratti dei pezzi del nuovo album “Lies They Tell Our Children” o dei brani più noti (come “Die For The Government”, “The Press Corpse” e “This Is The End”), la band di Pittsburgh trasuda sempre impegno e foga, come anche durante il medley composto da alcuni dei classici del punk-rock di tutti i tempi, spaziando da “Blitzkrieg Bop” dei Ramones e “Should I Stay Or Should I Go?” dei Clash a “She” dei Green Day, passando per un breve omaggio agli headliner della giornata sulle note di “If I Fall Back Down” dei Rancid. Gli Anti-Flag intrattengono e divertono, ma toccano anche – seppur brevemente – temi fondamentali, come la difesa dei diritti civili dai possibili tentativi di oppressione e l’importanza di costruire relazioni con gli altri basate sui principi di fratellanza e rispetto. Dopo meno di 40 minuti piuttosto intensi, la band statunitense saluta un pubblico generalmente soddisfatto e divertito.

PUNK ROCK FACTORY

In meno di cinque minuti inizia un altro set al Beky Bay, e passiamo ora alla sorpresa di giornata, i Punk Rock Factory. Probabilmente sconosciuti fino a quel momento alla maggioranza dei presenti (compreso chi scrive), questi ragazzi si autodefiniscono: “Four idiots making DIY Punk Rock covers“. Una presentazione appropriata, ma bisogna aggiungere che questo gruppo suona davvero bene e le cover che propone sono quelle “giuste”, che sanno far cantare davvero un po’ tutti, spaziando dai cartoni animati (come le sigle di Spongebob, Pokémon, la celebre “Let It Go” di Frozen) per passare a cover di canzoni pop – una delle migliori è quella di “Running Up That Hill” di Kate Bush. I quattro musicisti non solo non sfigurano affatto tra nomi così importanti e affermati, attraverso una formula semplice ma di grande effetto e una spiccata capacità di declinare in chiave punk-rock brani che spesso e volentieri sono di quanto più lontano dalle sonorità che caratterizzano questo genere, ma riescono anche ad intrattenere e conquistare il pubblico del festival. Per tutti questi motivi, il titolo di “sorpresa di giornata” non può che andare a loro.

FRANK TURNER & THE SLEEPING SOULS

Senza troppi giri di parole, Frank Turner e i “suoi” The Sleeping Souls sono un’ottima band dal vivo. Il cantautore inglese e la “sua” band propongono uno show intelligente, variegato, ma anche ben calibrato, facendo leva sull’abilità notevole di stare sul palco da parte di Turner, che si cala spesso e volentieri nel ruolo di showman – anche grazie ad un italiano sorprendentemente fluente. In poco più di 40 minuti di set, i Nostri alternano l’energia quasi hardcore punk dei pezzi dell’ultima fatica in studio del cantautore, “FTHC” (su tutti “Non Serviam”), al singolone “Get Better” e alla ben più tranquilla “Recovery”, ricordandoci che anche le chitarre acustiche possono ritagliarsi il loro spazio all’interno di un festival punk-rock. Il set va avanti spedito, con un Turner che diverte e si diverte, l’esatto effetto che si ottiene attraverso anni e anni di esperienza ma anche da una certa spontaneità nel fare arte. Col buio che avvolge il parco Pavese di Bellaria-Igea Marina, il set di Turner e soci si avvia alla conclusione verso le 21:40 sulle note della bella “I Still Believe”. Da applausi dal primo all’ultimo minuto.

BOWLING FOR SOUP

“This song talks about a dildo“. Questa frase, pronunciata alla fine di un discorso serio di Jaret Reddick sull’importanza di ciascuno di noi, riassume per bene il senso di spensieratezza che trasmettono i Bowling For Soup. Headliner del Beky Bay stage, per la band statunitense è la prima volta in Italia, nonostante i tanti anni di carriera alle spalle, tanto che i Nostri ammettono esplicitamente che si aspettavano che qui nessuno si ricordasse più di loro. E invece, sin dalle primissime canzoni, “Almost” e “High School Never Ends”, i presenti rispondono alla grande, dimostrando di conoscere per bene i testi e, soprattutto, di apprezzare tantissimo i BFS e il loro modo di stare sul palco: più che un concerto, sembra una sorta di spassosissima compilation di hit del gruppo, arricchita da varie battute, scherzi e gag che finiscono sempre per coinvolgere il pubblico – e i Rancid, considerando tutte le volte che Reddick li chiama in causa o spaccia la sua band per quella capitanata da Tim Armstrong e Lars Frederiksen. Quando partono poi le varie “Emily”, “1985” e “Girl All The Bad Guys Want” non ce n’è davvero per nessuno: il pubblico si scatena e si diverte nel pit, loro invece sono talmente spensierati che sembrano quasi giocherellare sul palco. Quella dei Bowling For Soup è una formula assolutamente accattivante e convincente e le aspettative non sono state semplicemente soddisfatte, ma superate.

Ph: Atiba Jefferson

RANCID

Poco dopo le 22:30, davanti ad una folla considerevole che riempie ora quasi per intero il parco riminese, salgono sul main stage i grandi protagonisti della giornata, i Rancid. Leggende del punk-rock mondiale da “30 anni…30 e più anni“, attaccano subito senza nessun tipo di convenevole con la nuova “Tomorrow Never Comes” per poi passare immediatamente al grande classico “Roots Radicals”, e il pubblico si dimostra carico a pallettoni sin dalle prime battute. Da qui in poi i Rancid suonano un pezzo dopo l’altro, fornendo circa 80 minuti di punk-rock puro macinato praticamente senza sosta, concedendosi poche pause di pochissimi secondi. Tanta sostanza e intensità, ma anche tanto spazio per i pezzi dei due album più celebri dei Nostri, “..And Out Come The Wolves” e “Let’s Go“, recitati come vere e proprie preghiere dal pubblico di Bellaria-Igea Marina, in particolar modo i grandi classici “Olympia WA”, “If I Fall Back Down”, “Time Bomb” e l’immancabile “Ruby Soho”, che mette la parola fine ad una giornata impegnativa, intensa ma decisamente appagante. In generale, i Rancid gestiscono con maestria ed esperienza un set che finisce proprio com’è iniziato: puro punk-rock senza fronzoli che viene scagliato quasi incessantemente su un pubblico che canta, balla, beve, si abbraccia, si diverte e che sembra volerne sempre di più. In poche parole, un pubblico che se la gode.

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