“My name is Giovanni Giorgio, but everybody calls me Giorgio”

Questa citazione, diventata virale dopo pochissimi attimi dalla sua uscita con montaggi video più disparati, di per sé basterebbe a sintetizzare il significato che “Random Access Memories” dei Daft Punk ha acquisito nel tempo: un compendio a dir poco iconico, un tributo totale alla musica ballabile dagli anni ‘70 ad oggi, se per “oggi” intendiamo, appunto, l’impatto che il gigante duo francese ha avuto sulla musica pop e dance successiva.

Un disco che all’epoca si fece attendere, al punto che non sembrano neanche passati dieci anni dalla sua uscita: otto anni di gestazione e tantissime polemiche, ma “RAM” è riuscito a restare sospeso nel tempo, eterno, trasversale. Un’opera dal carattere inclusivo che, tuttavia, ha creato un certo disappunto ai fan del duo francese, abituati a suoni duri e puramente sintetici, voci comprese. Tuttavia, “Random Access Memories” ha dimostrato di essere più durevole delle polemiche che ha suscitato, comprese quelle riguardanti collaborazioni di rilievo: da Pharrell Williams a Giorgio Moroder, passando per Julian Casablancas.

Le iconiche chitarre di Nile Rodgers aprono il disco e quasi sembrano rubare la scena. Eppure, nonostante lo stampo di matrice quasi esclusivamente acustica e le personalità di spicco ospiti in quest’opera, i Daft Punk non hanno perso la loro identità, dimostrando, al contrario, che la loro impronta va ben aldilà degli strumenti utilizzati. Un anello di congiunzione tra due mondi che viaggiano separati, o una riscoperta dei sintetizzatori com’erano usati ai loro albori, alla luce di una conoscenza più profonda di questi ultimi? Una domanda alla quale forse è impossibile rispondere con certezza. Ciò che è chiaro, è che dopo “RAM”, anche la carriera dei Daft Punk è cambiata: grazie a questo disco hanno dimostrato al mondo di poter realizzare, con il loro stile unico, brani di qualsiasi genere, dalla musica da discoteca alle colonne sonore sinfoniche. Ed ecco che la loro produzione in qualità di duo si arresta, mentre fiorisce la produzione, anch’essa inconfondibile, di The Weeknd.

Una discografia breve, essenziale, ma dalle intenzioni chiare, quella del duo mascherato, amante della vita notturna, dei night club, della live music.

Non si può dire che i brani dei Daft Punk siano diventati celebri per i testi, al contrario, ma un tema che emerge in maniera assolutamente chiara è senz’altro la dicotomia fra l’umanità e l’automazione. Gli autori di “Human After All”, alla fine di “Random Access Memories” ripropongono lo stesso tema in “Touch”, brano che scelgono per dire addio ai fan nel 2021, con “Epilogue”, un brevissimo video di grosso impatto emotivo: il Covid-19 sembra aver definitivamente chiuso l’era della vita notturna, e con questa anche la visione musicale di matrice aggregativa del duo.

“Touch, sweet touch
You’ve given me too much to feel
Sweet touch
You’ve almost convinced me I’m real”

“I remember touch”: toccarsi è un ricordo lontano, al punto che sembra una pura illusione. Ed ecco che due anni fa il duo mascherato sparisce dai social network, il sito è inaccessibile, non è possibile neanche acquistare il merchandising ufficiale, almeno per un po’.

Il ritorno dei Daft Punk sui social network avviene, quasi in sordina, con video di vecchi live e foto di repertorio. A dieci anni dall’uscita di “Random Access Memories”, pubblicano una versione celebrativa del disco che ha coronato la loro opera discografica, con 35 minuti di musica mai ascoltata fino ad oggi. Speriamo che questo lento ritorno sia il preludio di una rinascita, lenta ma costante.

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