1914 - Where Fear And Weapons Meet
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1914 – Where Fear And Weapons Meet

Il metal, spesso, si dimostra un eccellente mezzo comunicativo attraverso il quale esplorare, illustrare e discutere gli orrori degli scontri militari, che si tratti di entità estreme (God Dethroned, Hails Of Bullets, Marduk) o dal taglio maggiormente accessibile (Sabaton). Negli ultimi anni, i 1914 hanno superato numerosi gradini in questa particolare categoria di band, giungendo pian piano in cima alla lista, prima con il violento “Eschatology Of War”, poi grazie al superbo “The Blind Leading The Blind”, una delle migliori uscite del 2019. Nel nuovo “Where Fear And Weapons Meet”, terzo concept consecutivo sulla Prima guerra mondiale, l’act di Lviv prova a ripetere i fasti dello scorso album mantenendo sostanzialmente invariate le assi portanti di un songwriting solido e quadrato. Ne emerge un LP pregevole che, pur non beneficiando dell’effetto sorpresa degli splendidi predecessori, conferma la lucidità compositiva del quintetto, certosino nella scrittura di testi poliglotti e talmente ricchi di dettagli storici da sbalordire il cattedratico più scafato. E tra registrazioni d’epoca e rumorismo bellico d’antan, il death-doom dalle spigolature black del combo viaggia che è un piacere, intriso di una forte vena epica capace di bilanciare l’aura tragica che circonda gli eventi narrati.

Enorme il livello di coinvolgimento emanato dalle tracce, spiegabile non soltanto con la grande passione del gruppo nei confronti del soggetto scelto, ma anche dalla contingenza di vivere, nella propria nazione d’origine, le conseguenze del sanguinoso conflitto russo-ucraino, ancora lontano, oggigiorno, da una soluzione definitiva. Sebbene l’Oblast’ di Leopoli si trovi a ovest – mentre i disordini riguardano la parte orientale dello Stato -, appare indubbia l’influenza di un dissidio politico di tale importanza sulla sensibilità del combo, oltremodo cauto nell’affrontare argomenti delicati e scivolosi, e che facilmente potrebbero condurre ad accuse di sciovinismo et similia. Aderenza stretta ai fatti, nessuna netta presa di posizione, la riflessione che tanto i soldati degli Imperi centrali quanto quelli della Triplice Intesa si resero artefici di azioni parimenti vili e coraggiose, con la Morte presenza costante nelle trincee, benché quasi tutti i protagonisti delle vicende tornino a casa, almeno fisicamente, sani e salvi: approccio da studiosi, ça va sans dire.

Filtra luce, dunque, nelle atmosfere cupe di un lavoro aperto e chiuso, al solito per la formazione dell’Est, da due inserti, “War In” e “War Out”, particolarmente significativi: se la partenza viene affidata ai versi iniziali di “Tame Daleko”, traditional serbo arcinoto in patria e perfetto incipit d’ambiente al racconto, l’epilogo spetta a “I Didn’t Raise My Boy To Be A Soldier”, brano statunitense d’intento pacifista scritto nel 1915 e che, incluso a fine scaletta, opera da pendant interpretativo del platter. D’altronde, un abbrivio del calibro di “FN .380 ACP#19074”, titolo riferito al modello di pistola semiautomatica che Gavrilo Princip utilizzò per assassinare l’Arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sophia, la dice lunga sulle modalità di strutturazione lirica della scaletta, visto che tocca allo stesso studente bosniaco narrare l’episodio dal carcere di Terezin, motivando l’attentato con ragioni di carattere anti-tirannico. Un pezzo possente e lineare, che inneggia alla libertà e al principio di autodeterminazione dei popoli e in cui gioca un ruolo di grande traino emotivo la presenza delle orchestrazioni, di rilievo anche nel prosieguo del lotto, specialmente quando prende il sopravvento sul resto l’epos drammatico del fronte (“Pillars Of Fire” (The Battle Of Messines), “Corps D’Autos-Canons-Mitrailleuses” (A.C.M.)).

Certo, sembrerebbe un azzardo definire i 1914 i degni eredi dei Bolt Thrower, eppure i riff marziali e il groove batteristico dell’impetuosa “Vimy Ridge (In Memory Of Filip Konowal)”, canzone che celebra le gesta di un valoroso caporale dell’esercito canadese nativo della Podolia, ricordano da presso i maestri di Coventry, così come accade nella spietata e ciononostante orecchiabile “Don’t Tread On Me (Harlem Hellfighters)”, dedicata al famoso reggimento di fanteria dell’U.S. Army e contraddistinta da un main riff melodico in stile Mgła. Le nefandezze della Gran Bretagna, rappresentate nel break country/folk “Coward” – con Sasha Boodle (Me And That Man) ospite -, preparano il campo alla triste vicenda del soldato Arthur George Harrison nella straordinariamente intensa “…And a Cross Now Marks His Place”: da antologia l’intervento vocale di Nick Holmes (Paradise Lost, Bloodbath) e le interessanti deviazioni verso territori dark, tenute, comunque, entro le corsie degli amati e arcigni cingoli in drop C. Dopo “Mit Gott Für König Und Vaterland”, accattivante malgrado gli alti livelli di aggressività, il full-length raggiunge l’atteso culmine da epopea con gli undici minuti di “The Green Fields Of France”: l’espressiva ugola dagli strascichi hardcore punk di Dmytro Kumar, il suono delle cornamuse, l’alternanza di rallentamenti vicini allo sludge e di esplosioni brutali di foggia nera, guidano l’ascoltatore nella carneficina di Verdun, battaglia simbolo dell’insensatezza di ogni conflitto con i suoi seicentomila uomini morti senza profitto alcuno per le fazioni in lotta.

“Where Fear And Weapons Meet” costituisce un’esperienza multisensoriale che trascende la semplice nozione di musica, intersecandosi con linguaggi altri, artistici e non, maneggiati dai 1914 con perizia magistrale. Fenomenali.

Tracklist

01. War In
02. FN .380 ACP#19074
03. Vimy Ridge (In Memory Of Filip Konowal)
04. Pillars of Fire (The Battle Of Messines)
05. Don’t Tread On Me (Harlem Hellfighters)
6. Coward (feat. Sasha Boole)
7. …And a Cross Now Marks His Place (feat. Nick Holmes)
8. Corps D’Autos-Canons-Mitrailleuses (A.C.M)
9. Mit Gott Für König Und Vaterland
10. The Green Fields Of France
11. War Out

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