Nosound (Giancarlo Erra)
In occasione della release del quinto album in studio dei Nosound, abbiamo incontrato per voi Giancarlo Erra, fondatore del progetto Art Rock a metà strada tra la frenesia della città di Roma e le malinconiche atmosfere inglesi
Articolo a cura di Giulia Franceschini - Pubblicata in data: 11/01/17
Si ringrazia Pamela Piccolo per la collaborazione 
 
Grazie per l’intervista, è un piacere averti su SpazioRock. “Scintilla” è ormai fuori da qualche settimana. Qual è il commento più bello che hai ricevuto sul disco fino adesso, quale la cosa che ti è piaciuta di più delle recensioni che hai visto?

Non so. Non ho letto tantissime recensioni in verità. Credo, forse, più che un commento specifico sono stato contento di vedere che il messaggio è arrivato, ovvero un disco che parla di emozioni e non cerca di catturare troppo l’attenzione. In generale credo che questo concetto sia quasi sempre arrivato, anche soprattutto legato, per esempio, al nuovo logo sul disco, quindi questo orecchio collegato al cuore. Qualcuno ha sentito il disco e ha detto “Ok, in effetti questo è un disco che dall’orecchio passa direttamente al cuore”, quindi poi chiaramente può piacere o non piacere. Pensavo fosse più difficile arrivare, invece devo dire che la bella sorpresa è quando si parla in maniera onesta di emozioni. Chiaramente in quanto esseri umani la maggior parte delle volte il messaggio arriva più direttamente.

Anche noi su Spazio Rock abbiamo recensito questo disco in modo ottimo, tra l’altro…

Bene!

Dal mio punto di vista, leggendo la recensione del nostro redattore, il commento migliore che è stato fatto è che è un disco che parla proprio al cuore, quindi il tuo obiettivo riassunto in questo logo è stato efficace. I Nosound di “Scintilla” sono una band rinnovata e in evoluzione stilistica. Da che cosa è dipesa e da cosa è stata influenzata questa evoluzione, questa ultima trasformazione che vi ha portati a un nuovo livello di capacità espressiva emotiva? 

Credo che di album in album ci si evolva in maniera abbastanza naturale. Secondo me l’evoluzione c’è sempre stata di album in album, sostanzialmente. Credo che semplicemente in questo caso, vuoi forse complice l’età o vuoi complice l’esperienza o semplicemente il passaggio temporale, l’evoluzione è stata dettata principalmente dai miei gusti di ascolto. Nella precedente intervista si è parlato di bulimia, credo che sia forse il termine più adatto. Da ascoltatore trovo che ci sia troppa musica che cerca di strillare e di catturare l’attenzione, vuoi che sia attraverso volumi, vuoi che sia attraverso il famolo strano, insomma sembra sempre che ci debba essere un qualcosa per catturare l’attenzione visto che viviamo comunque in un mondo in cui c’è sempre meno tempo in un certo senso e da ascoltatore mi sono reso conto che è una cosa che proprio non mi piace. La maggior parte delle volte mi annoia, mentre invece mi piace chi riesce a prendere un’idea semplice ma efficace e a comunicarla senza starsi a preoccupare troppo “Ma arriverà, non arriverà, come farla arrivare meglio…”. Questa ricerca dell’essenza, più o meno, è quello che forse ha guidato di più questo album. Non mi è interessato molto pensare cosa ne penserà la gente, ma arriverà, sarà troppo noioso o troppo lento, non mi interessa molto. Per cui sì, diciamo questa mera sottrazione e il tornare un pochino alle origini di quello che è poi il songwriting probabilmente è stato il cambio principale. 
 

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Dal punto di vista del suono e in generale della composizione, sia nel sound che nei testi, quanta sperimentazione c’è stata, quanto gioco, e quanto è uscito spontaneamente in questo disco?

Non so se ci sia mai stato tanto gioco. Sperimentazione sì. Le cose che scrivo nascono intere, questo è il motivo per cui pubblico ogni tre anni. Non sono mai stato un grande fan dei progetti delle band che si trovano in studio e si mettono a suonare, improvvisano e poi vediamo dopo tre giorni cosa esce fuori, raccolgono materiali migliori e poi incollano. Va tutto bene, per carità, però non è il tipo di cosa che piace a me. A me piace molto di più attendere quando mi arriva l’idea, quando sono al pianoforte e sto suonando, già “completa” per cui una struttura, una melodia, una cosa di questo genere. In tal senso dal punto di vista della composizione non c’è stata sperimentazione, c’è stato semplicemente un aspettare un’idea, un’ispirazione dalla vita reale e poi il cercare semplicemente di metterla in musica nel modo migliore. Se quella si può chiamare sperimentazione sì. Però ecco, non è mai capitato di mettermi lì in studio da solo con gli altri e dire “Proviamo a vedere che cosa esce fuori”. Quell’elemento non c’è.

Quando capisci che hai un’idea, un’ispirazione e cerchi di metterla in musica? Quando arrivi a pensare “Ok, sono arrivato. È il modo giusto per trasmettere la mia idea”?

È abbastanza semplice in verità per me. Quando penso che un’idea sia buona sul momento registro tutto e poi tipicamente lascio lì tutte le mie canzoni per mesi e ci torno quando onestamente non ricordo più che cosa sono. Sono ormai almeno due dischi che faccio in questa maniera, per cui sostanzialmente è un’idea che lascio riposare per un po’ di mesi, poi torno. Marco le idee sempre con un numero e mai con un titolo proprio per cercare di scoprire di nuovo che cosa ho fatto. Se dopo qualche mese da ascoltatore mi piace quello che ho fatto allora vuol dire che è un’idea buona, se invece dico “Mah, capisco perché l’ho registrata perché è una cosa che mi piace di solito”, ma poi da ascoltatore non mi dice nulla e non mi emoziona, allora a quel punto è un’idea che lascio nella parte delle idee che tipicamente rimangono là dimenticate. 

Come dicevamo prima la critica si è abbastanza espressa sul disco. Una cosa che ho sempre voluto chiedere è: come si sente un artista quando vede il proprio lavoro, la propria ispirazione, la realizzazione di un progetto aperta, sezionata millimetricamente, analizzata e giudicata?

Credo che dipenda da quanto uno si sente comfortable, non so come dirlo in italiano, con il proprio lavoro secondo me. All’inizio tendevo a essere più influenzabile, se vuoi, o influenzato dalla critica oppure semplicemente non dico che mi dava fastidio, però insomma mi faceva uno strano effetto, mentre invece da un paio di dischi sostanzialmente non mi preoccupa più di tanto. Per me l’importante è che io abbia fatto il lavoro esattamente come lo volevo fare, dopodiché è normale e comprensibile che possa arrivare o non arrivare e arrivare in tanti modi diversi alle persone. Anzi, quando qualcuno per esempio interpreta un pezzo di cui io solo so qual è, chiaramente, la vera ispirazione, però qualcun'altro lo interpreta a modo suo - mentre prima mi dava un po’ fastidio, era come se qualcuno si volesse impadronire della tua idea, adesso quasi mi piace il fatto che ognuno faccia della propria idea un qualcosa di suo. Per cui non credo che influenzi più di tanto, anzi con questo lavoro abbiamo ricevuto delle critiche abbastanza polarizzate e devo essere sincero, sono contento. Piuttosto che ricevere critiche che sono sempre magari più positive però non super positive, diciamo così, con questo album il fatto che ci sono state critiche o molto positive o non è arrivato secondo me è un buon segno. Comunque è stata presa una scelta che è un pochino più personale, poi piaccia o non piaccia a me interessa poco, il mio ruolo è quello di farlo il meglio possibile, poi ognuno ha i suoi gusti. 

Ho trovato curioso il fatto di dare un titolo italiano a una raccolta di brani in inglese, a parte “Sogno e Incendio”. C’è un motivo per questa scelta?

In verità “Scintilla” è una parola anche inglese non molto utilizzata. Se apri un dizionario di inglese e cerchi la parola scintilla significa esattamente quello che per noi è una scintilla.

Fantastico!

È una parola che mi è sempre piaciuta. Io non sono un linguista, però pongo sempre molta molta ttenzione ai titoli degli album, ai titoli delle canzoni, deve avere tutto un suo senso nella mia testa. In questo caso era perfetto, nel senso che è anche bello il modo in cui gli inglesi lo dicono. Io vengo qui giustamente in Italia e tutti quanti dicono “Il disco nuovo si chiama Scintilla”. Poi vado in Inghilterra o un paese anglosassone e dicono “The new album in Scintilla”. Lo trovo anche un bel modo di esprimerlo, per cui questo è il motivo.

Come mai la scelta di fare proprio quel brano in italiano? Volevo parlare in generale delle collaborazioni di questo disco e capire se hai scritto il pezzo e poi scelto la voce, in questo caso specifico di “Sogno e incendio” con Andrea Chimenti, giusto?

Sì.

C’è stata prima la creazione poi hai scelto la voce sia in questo caso che nel caso delle collaborazioni con Vincent?

La collaborazione con Vincent è arrivata successivamente, ovvero lui ha ascoltato delle cose, per esempio per “In Celebration of Life” ci siamo trovati insieme, eravamo legati da rapporti diretti con la persona a cui è poi stato dedicato il lavoro e con cui è stato scritto il lavoro. Per quanto riguarda “Sogno e Incendio”, come dici tu, è nata la musica; dopodiché avevo già intenzione di lavorare con Andrea perché è uno dei pochi artisti italiani che ho sempre seguito e mi piace molto la sua poetica italiana e io non scrivo in italiano perché non ho mai ascoltato molta musica italiana. Di conseguenza quello è nato successivamente, ovvero il pezzo già c’era, la linea melodica non come adesso però già c’era, avevo anche un testo inglese, però quando ho parlato con Andrea a cui ho mandato un paio di cose alla fine ne abbiamo scelto uno perché semplicemente è stato quello con cui ci siamo subito trovati entrambi ispirati parlando dell’album e di cose del genere ed è il motivo per cui poi è nato “Sogno e Incendio”. A quel punto ho dato a lui totale libertà e gli ho detto: “Questo è quello che ho fatto io, però vorrei che ci mettessi del tuo, nel senso che tu scrivi il testo”. Eravamo d’accordo sul testo. Ci siamo trovati entrambi in una fase di vita personale che era abbastanza allineata, eravamo sulla stessa linea d’onda per cui è stato molto molto naturale in verità. Ha scritto cose che avrei potuto scrivere io se fossi stato dotato della sua capacità espressiva in italiano.

Del foglio che trovi a metà scaletta, che adesso ho controllato per esserne sicura, c’è una motivazione o una sorta di divisione tra due parti del disco?

No, non credo. In verità sta a metà semplicemente perché nel flusso del disco era il posto in cui secondo me stava meglio. Forse probabilmente devi considerare che la maggior parte del nostro pubblico è anglosassone per cui per loro sentirlo in italiano è molto esotico. Credo che alla fine quel foglio sia finito nel mezzo perché non c’è una divisione del disco in due parti, però sicuramente nel mezzo era un punto in cui “Ok, nel mezzo mettiamo una cosa che sicuramente catturerà un pochino di più la curiosità di chi ascolta”. 

Ok, siamo quasi alla fine. A parte la pizza, qual è la tua personale scintilla?

Ci dovrei pensare un sacco di tempo! Semplificando un pochino direi il feeling, cioè le emozioni, qualsiasi esse siano, positive, negative. Quelle sono sicuramente la cosa che ci rende tutti vivi e umani, anche quelle negative. Anzi, soprattutto quelle negative. Sono quelle che rimangono di più molto spesso, però se uno invece di scacciarle le vedesse come una dimostrazione del fatto che “Eccoci qua, siamo vivi, non si può stare sempre bene”… Senza le cose negative non ci sarebbero le altre. Sicuramente i feeling in generale sono la vera scintilla. 



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