Lana Del Rey - Tour 2013
07/05/13 - Mediolanum Forum, Assago (MI)


Articolo a cura di Marco Belafatti

Di Lana Del Rey si è fatto un gran parlare nell'ultimo anno. Nel bene, nel male, spesso a sproposito. Come capita alle grandi popstar, alle dive di Mtv e delle folle di teenager urlanti, il gossip precede la musica, l'iconografia il contenuto. C'è da ammettere, però, che il suo album d'esordio “Born To Die” ha fatto irruzione in un mercato privo di vere canzoni e di vere voci, quelle che magari non hanno un'estensione da urlo e una presenza scenica trasgressiva, ma hanno innanzitutto delle storie da raccontare. E poi, innegabilmente, c'è tutta un'aura vintage da riviera californiana anni '60 a circondare la musica, quel fascino maledetto che non altro che il lato oscuro dell'American dream già cantato da Leonard Cohen. Oggi Lana arriva in Italia per tre date dal vivo: Torino, Roma e Milano, dove ad attenderla c'è un affollatissimo Medionalum Forum – l'occasione giusta per percorrere il sottile e precario equilibrio tra immagine e sostanza, aiutati dai propri occhi e dalle proprie orecchie.


Il palco non lascia nulla al caso: ambientazione lussuosa un po' Grand Hotel e un po' maison gotique sulla quale fanno il proprio ingresso i Kassidy, band d'apertura proveniente dalla Scozia. Tra velati rimandi post-grunge e crescendo con tanto di chitarra acustica, grancassa e armonizzazioni vocali (evidentemente è questa la moda del momento) il pubblico viene scaldato a dovere, complici ritornelli e coretti di facile presa. Certo, i testi andrebbero rivisti per evitare, magari, di cadere nei classici stereotipi da cuori infranti e tempeste ormonali adolescenziali, così come la disposizione sul palco, che strizza forse un po' troppo l'occhio ad una formazione inglese – i Mumford & Sons – che sia su disco che live è ben altra cosa. Se il momento più gradito del loro concerto è un brevissimo siparietto durante la quale la band intona il ritornello di “Blue Jeans” basta poco per capire quanta presa possa avere sul pubblico un pop rock così ordinario e composto...


Poco male, perché dopo 40 minuti scarsi il velo bianco che ricopre il placo cade e lascia intravedere ulteriori addobbi: palme, divanetti, una bandiera a stelle e strisce, un lussuoso pianoforte a coda. Accompagnata da una band di prim'ordine – chitarra, basso, percussioni, archi – Lana Del Rey sale sul palco sulle note di una “Cola” che quasi sembra un inno allo shoegaze dei tempi che furono. L'artista non lesina sorrisi al proprio pubblico e intona i brani con la genuinità che da sempre contraddistingue le sue performance. Le movenze sono sexy ma tutt'altro che volgari, gli ammiccamenti simpatici ma nient'affatto ruffiani. La sostanza, insomma, c'è: si vede. E si sente. La diva che molti hanno criticato per il suo essere prodotto di un collettivo isterismo hipster è in realtà un'artista di classe, una di quelle che vedresti bene in un locale jazz, forse il luogo più indicato per i suoi famosi saliscendi vocali e il suo timbro profondo.


I brani passati in rassegna pescano tra il meglio della sua discografia, composta da un solo album e dalla sua versione ampliata: “Body Electric”, ad esempio, guadagna molto rispetto alla versione su disco, impreziosita da percussioni corpose e seducenti sottofondi elettronici. Stesso discorso per la raffinatissima cover di “Blue Velvet” e la sognante “American”, il cui ritornello si trasforma in una vera e propria dichiarazione d'amore verso il pubblico italiano. C'è spazio anche per pezzi meno conosciuti come il passionale singolo “Young And Beautiful”, tratto dalla colonna sonora di “The Great Gatsby”, oppure la soffusa “Burning Desire”, forse il brano che più stupisce per la delicatezza della voce della cantante. I cavalli di battaglia “Blue Jeans”, “Born To Die” e “Video Games” sono un tripudio di cori: l'acustica ne risente parecchio – almeno dalla nostra postazione tra le prime file del parterre – ma è bello percepire un grande calore e un trasporto collettivo. L'apice della serata è sicuramente “Ride”: archi, chitarre, voce e batteria viaggiano liberi su note che cullano e feriscono al tempo stesso, mentre sullo schermo scorrono le immagini di un cortometraggio che è pura arte, ma “Summertime Sadness” guadagna senza ombra di dubbio il secondo posto. Bellissima anche la chiusura affidata a “National Anthem”, con la sua lunghissima coda strumentale che accompagna Lana durante i consueti autografi e scatti fotografici in compagnia dei fan.


Poco più di un'ora e un quarto per uno show caratterizzato da una grandissima partecipazione. Carisma, classe, bellezza da vendere: Lana Del Rey è pop. Sì, ma nel senso più buono e artisticamente soddisfacente del termine. Alla domanda “Will you still love me when I'm no longer young and beautiful?” noi rispondiamo “Yes”, insieme ai volti delle migliaia di fan che questa sera porteranno a casa il ricordo di un'artista vera e raffinata. E tutt'altro che irraggiungibile.




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