Stone Sour + Karnivool
12/06/13 - Estragon, Bologna


Articolo a cura di Eleonora Muzzi
Dire che c'è molta attesa per questa sata italiana degli Stone Sour è riduttivo: mancano ancora più di due ore all'apertura porte e la fila inizia a farsi bella consistente. Con piacere constatiamo che anche gli australiani Karnivool hanno la loro bella fetta di pubblico che lo attende ed è impaziente di vederli in azione nella loro prima apparizione su suolo italico.

Non c'è molto da aspettare, si aprono le porte dell’Estragon abbiamo appena il tempo di prendere qualcosa al bar e trovare un angolino in cui accomodarci e goderci lo spettacolo senza essere costretti dalla calca (dopotutto è stata una giornata stranamente calda, visto l'andazzo del meteo degli ultimi giorni) che i Karnivool si palesano sul palco e attaccano. La curiosità si accende sin dalle prime note, quando dagli ampli esce un progressive rock condito da spruzzi di alternative metal decisamente accattivante. L'interesse aumenta di canzone in canzone, e già al terzo brano del set è difficile concentrarsi su qualcos'altro che non sia il palco, complice la splendida voce del cantante e frontman Ian Kenny, che per certi aspetti ricorda quella del collega Taylor, più che altro nella capacità di alternare momenti molto melodici a pezzi più aggressivi, al limite del grido, e riuscire ad ottenere buoni risultati in entrambi i frangenti. Con il proseguire del set assistiamo anche ad un momento diverao della musica dei Karnivool, quello più legato al nu metal del primo album del 2005, ed il pubblico apprezza al punto che la fila al bar è quasi dissipata e tutti sono concentrati sul palco. Chiudono dopo poche ma intense canzoni giusto dopo le 22 e lasciano il palco ai tecnici che lasceranno spazio al main event della serata.

Di ritorno in tour dopo l'uscita di "The House Of Gold And Bones Part II", gli Stone Sour capitanati dall'istrionico Corey Taylor infiammano il palco fin da subito, senza mezzi termini si buttano nello show di prepotenza con un set ovviamente concentrato sul doppio concept album appena uscito, benchè dalla seconda parte vedremo eseguita solo “Do Me A Favor”.

Senza troppi preamboli, Taylor sale sulla spia, guadagnando qualche centimetro, e come il capitano di una nave tiene al guinzaglio il pubblico incitandolo fino a che non ottiene la risposta voluta, ovvero grida e strepiti spacca timpani.

Con una tenuta di palco che si apprende solo calcando gli stage di tutto il mondo i cinque si scatenano dando il meglio di sé.  Il risultato è uno show che fin dall'inizio è impossibile da ignorare, le distrazioni non sono consentite, anche solo guardare l'orologio ci fa rischiare di perdere qualcosa che avviene sul palco,  che sia un salto di Taylor, stasera al limite dell'indiavolato per quantità di energie, o un'evoluzione chitarristica del barbutissimo Root.

Quando, dopo tre brani, pensavamo di aver visto quanto potessero essere devastanti gli Stone Sour on stage, ecco che arriva "RU486"  a farci cambiare idea: le capacità distruttive dei cinque sono infinite. Per non parlare del tributo ai Black Sabbath, definiti "la band senza cui nessuno suonerebbe hard rock o heavy metal" con "Children Of The Grave".

Ma gli Stone Sour hanno anche un lato più morbido e meno violento, ed ecco Taylor in solitaria,  solo lui, un microfono, una chitarra elettrica e "Bother", preceduta da un accenno di “Nutshell” degli Alice In Chains, commuovente eseguita in questo modo. Seguita da “Through Glass”, altro grande pezzo conosciutissimo della band, col pubblico che non smette di cantare neanche se pagato.

Il set inizia a volgere al termine e dopo altri due brani da “House Of Gold And Bones Part I”, le luci si spengono e i cinque si prendono una breve pausa, prima di tornare sul palco per un tuffo nel passato con una tripletta da sogno: “Hell & Consequences”, “Get Inside” e “30/30-150”, il modo migliore per lasciare il proprio pubblico ormai delirante a pochi minuti dopo lo scoccare della mezzanotte.

Per riassumere questa calda serata di Giugno, “esplosivo” sarebbe il termine più adatto. Con solo due band e poco meno di tre ore di musica, l’Estragon si è trasformato in un centro gravitazionale di allegria, divertimento e spensieratezza, con due gruppi eccellenti a darsi il cambio sul palco. Prima i Karnivool, relativamente poco conosciuti che si sono però ben presto rivelati validissimi e degni di far da supporto ben più noti Stone Sour, che con un frontman del calibro di Corey Taylor trascinano il pubblico con una semplicità e un’abilità che si affina solo, come già detto, calcando i palchi del mondo per anni e anni. Ma non solo Taylor è responsabile della buona riuscita della serata, tutti i musicisti presenti, anche se tecnicamente “muti” perchè effettivamente non hanno proferito verbo, hanno dato il meglio delle loro capacità, dimostrandosi musicisti di altissimo livello. Tanto di cappello anche a loro, essenziali per la buona riuscita della serata.

Una serata coi fiocchi, un concerto splendido e difficile da bissare, e una speranza di tornare a vederli in Italia al più presto. E magari vedere Root e Taylor con addosso una bella maschera e una tuta.


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