Ulver
Childhood's End

2012, Kscope Music
Psychedelic Rock

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 01/06/12

Che gli Ulver fossero imprevedibili è cosa nota da tempo, ma questa ancora mancava. A un anno di distanza da “Wars of the Roses”, la band di Kristoffer Rygg ritorna sul mercato con un nuovo capitolo che all’apparenza poteva sembrare più un “riempitivo” che un vero lavoro discografico, una raccolta di cover di brani del periodo d’oro della musica psichedelica.

Niente di più falso. Il vago timore di qualcosa di passeggero è subito svanito una volta avuto tra le mani “Childhood's End”, un inciso particolare ma con pari dignità artistica delle opere totalmente di casa Ulver, un album che non faticherà a entrare negli ascolti dei fan dei norvegesi. Difatti sia che si conoscano già le tracce in questione o che le si ascoltino per la prima volta, risalta immediatamente all’orecchio il processo di “ulverizzazione” compiuto da questi musicisti, abili a donare la classica aurea decadente ai brani originali, rielaborando con mano più incisiva (senza esagerare) dove consentito e lasciando solo trasparire la propria interpretazione laddove un intervento importante non avrebbe portato giovamento (vedi la splendida “Everybody’s Been Burned” dei The Byrds).

Un lavoro di fino potremmo dire, che fa uso di tutta la delicatezza strumentale/elettronica ormai acquisita dagli Ulver, in una lunga scaletta senza momenti di fragilità, alternando frangenti movimentati e solenni, riuscendo ad abbracciare pop e ballate maliconiche senza perdere il filo conduttore, identità e credibilità. Ormai gli Ulver possono permettersi questo e altro, novelli Re Mida, ponendosi sempre su un livello più altro rispetto a tutta la musica che li circonda.

Un disco fortemente consigliato ai fan della band e a coloro che hanno vissuto (o ascoltato) in prima persona i brani proposti nelle versioni originali, “Childhood's End”, registrato in diverse sessioni tra il 2008 e il 2011, testimonia il perenne stato di grazia di una band che non manca mai di sorprendere, riuscendo a spaziare in carriera dal black metal al trip hop (e tanto altro) con la stessa scioltezza e maestria. Giù il cappello.



01. Bracelets of Fingers (The Pretty Things)

02. Everybody’s Been Burned (Byrds)

03. The Trap (Bonniwell’s Music Machine)

04. In the Past (Chocolate Watchband)

05. Today (Jefferson Airplane)

06. Can You Travel in the Dark Alone (Gandalf)

07. I Had Too Much to Dream Last Night (Electric Prunes)

08. Street Song (13th Floor Elevators)

09. 66-5-4-3-2-1 (Troggs)

10. Dark is the Bark (Left Banke)

11. Magic Hollow (Beau Brummels)

12. Soon There Will Be Thunder (Common People)

13. Velvet Sunsets (Music Emporium)

14. Lament of the Astral Cowboy (Curt Boettcher)

15. I Can See the Light (Les Fleur De Lys)

16. Where is Yesterday (United States Of America)

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