Ulver
Bergtatt

1995, Head Not Found
Black Metal

Un disco da avere senza se e senza ma
Recensione di Lorenzo Brignoli - Pubblicata in data: 17/09/14

Lo stereotipo di un disco black metal di inizio anni ’90 vorrebbe: produzione cacofonica, urla strazianti e tre riff e mezzo in tutto l’album, magari messi insieme con una tecnica approssimativa e accompagnati da un drumming talmente minimale che suona quasi fuori tempo. Poi uno sente “Bergtatt” primo full – length dei norvegesi Ulver e capisce che dietro alla cortina di odio e filo spinato c’è molto di più di tutto questo.

Il titolo completo del disco è in realtà “Bergtatt – Et Eventyr I 5 Capitler”, le traduzioni sulla rete si sprecano ma la più usata è generalmente: “presa dalla montagna – una fiaba in 5 capitoli”, in cui il “presa” può essere inteso come “stregata” o “rapita”. Una fiaba appunto, il disco infatti nasce come concept album, finalizzato a raccontare la storia di una ragazzina, persasi nella “Troldskog”, la foresta dei troll, e delle sue peripezie per cercare di salvarsi. Per raccontarci questa storia gli Ulver non si limitano ad avvalersi di tutti gli elementi tipici del Black Metal elencati precedentemente, ma aggiungono parti acustiche, cori e voci pulite. Nonostante la giovanissima età del quintetto (basti pensare che il cantante Garm all’epoca era diciottenne) i norvegesi riescono a mescolare il tutto con una classe difficilmente individuabile in molte delle bands dell’epoca ed il risultato è uno dei dischi più importanti della storia di questo genere, oltre che  uno dei più particolari.

Il primo capitolo, “I Troldskog Faren Vild” ci fa subito capire che non ci troviamo di fronte ad un lavoro comune, le ritmiche non sono serrate, le melodie sono sì malinconiche ma non strazianti ed il cantato pulito di Garm non ci trasmette la rabbia e cattiveria tipiche di tanti dischi “coeatanei” di "Bergtatt". In questo modo gli Ulver ci trasportano nella foresta, come fossimo testimoni della scena che ci raccontano, di una fanciulla che non trova più il sentiero per la propria casa, nascosto dalla neve che cade, e della sua disperazione. Nel capitolo successivo “Soelen Gaaer Bag Aase Need”, lo screaming di Garm fa la sua comparsa, ed il suo sapiente alternarsi a cori e strumenti classici acuisce l’intensità della vicenda, di cui ormai non siamo più semplici spettatori passivi, essendo stati trascinati al suo interno. La trama si fa più drammatica negli ultimi tre capitoli, quelli in cui il dramma si consuma: le forze oscure stanno infatti si fanno più forti e hanno la meglio, così la fanciulla viene catturata e presa prigioniera nella montagna. La rabbia, a tratti quasi dolorosa, tipica del Black Metal norvegese trasuda dal riffing e dalla voce di Garm ma allo stesso tempo dai dialoghi e dalle chitarre acustiche traspare una suggestiva malinconia che si inserisice alla perfezione nel mosaico creato dagli Ulver. Ecco, un misto travolgente di sentimenti e sensazioni, forti, pure: questo è "Bergtatt".

Non stiamo parlando di un disco normale, anzi con ogni probabilità si tratta di un disco unico ed irripetibile, che rappresenta un caposaldo del black metal pur non appartenendovi  nel senso stretto (e stereotipato) del termine ma piuttosto nella sua anima malinconica e drammatica. Insomma, fondamentale anche a quasi 20 anni di distanza dalla sua pubblicazione, "Bergatt" è solo la prima tappa della famosa Trilogia (completata dai successivi "Kvelssanger" e "Nattens Madrigal") e di una discografia che di fatto ci ha regalato un capolavoro dietro l’altro. Da avere senza se e senza ma.




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