Ulver
Wars Of The Roses

2011, Kscope Music
Prog Rock/Ambient

Un disco spiazzante e profondissimo da ascoltare, ancora ed ancora...
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 04/05/11

Spiazzante. Trattandosi degli Ulver non era certo una novità, ma quando la realtà dei fatti supera le aspettative, quando tutte le possibili previsioni vengono spazzate via durante l'ascolto, non si può non rimanere ancora una volta ammaliati da una band che ha fatto della capacità di sorprendere il proprio credo.

L'evoluzione, a volte persino rivoluzione, ha segnato la carriera dei norvegesi sin dall'inizio, da quando, poco più che adolescenti, rompevano i rigidi dogmi black metal in favore di un approccio ardito e rischioso, una formazione in continuo “work in progress” che ha raggiunto ormai uno stato di culto e da cui tutti si aspettano sempre grandissime cose. “Wars Of The Roses” prosegue la via dell'imprevedibilità attenuandone i toni, stupendo sì ma con discrezione, arrivando a carpire l'essenza del disco dopo innumerevoli ascolti. Non una rivoluzione dunque, “Wars Of The Roses” richiama anzi alcuni lavori passati, andando a posizionarsi idealmente a cavallo di “Blood Inside” e “Shadows of the Sun”, ma riuscendo a infondervi uno spirito nuovo, una nuova dimensione che è propria dell'album, mutuando l'avantgarde rock chirurgico del primo e le atmosfere eteree del secondo. Eliminati il cinismo urbano e la sacralità di mondi bucolici, gli Ulver ci elevano dalle ombre del tramonto verso uno spazio altissimo pervaso di una impenetrabile luce bianca, che se inizialmente non permette di scorgere alcunché, a poco a poco lascia intravedere il mondo sottostante, paesaggi sconfinati da cui arrivano solo echi lontani, calmi e ovattati.

È questa infatti la principale sensazione che pervade “Wars Of The Roses”, una continua tensione spirituale che sacrifica tantissimo della complessità di cui i nostri sono capaci, volendo presentare giusto lo stretto necessario, riducendo all'osso tutta l'impalcatura musicale, dando quindi l'impressione di una preoccupante omogeneità della proposta. Niente di più falso. Solo dopo attenti ascolti si apprezzano tutte le sfumature di un songwriting ermetico ma certosino, in cui l'elettronica e strumenti acustici vanno a braccetto traendo forza vicendevolmente, in cui si alternano synth e rumori agresti, dove attimi di calma vengono interrotti da squarci free jazz, richiami psichedelici e divagazioni prog rock. Un disco in cui elementi contrapposti vengono amalgamati alla perfezione, passando dall'opener più accessibile della discografia dei norvegesi, “February MMX”, praticamente un pezzo pop-rock in salsa Ulver, per arrivare all'elegia finale di “Stone Angels”, al contrario uno dei brani più enigmatici di sempre, un quarto d'ora di estasi spirituale in cui la musica si fa sempre più rarefatta e sacrale, mentre la splendida cadenza di Daniel O'Sullivan recita una poesia (omonima) dello scrittore americano Keith Waldrop.

Un lavoro che rispecchia la concezione artistica di Kristoffer Rygg, meglio noto con lo pseudonimo di Garm: gli Ulver non sono una cosa sua, ma emanazione artistica di chi ne fa parte. E in questo senso il contributo di Daniel O'Sullivan (entrato in pianta stabile nel 2009) appare evidente e quasi preponderante, tanto da comparire come primo nome nei crediti. Un caso? Per una band così attenta ai minimi particolari non crediamo. Rygg lo ritroviamo comunque come al solito splendido al microfono, dal classico timbro dolce e suadente, completamente al servizio dello spirito generale di “Wars Of The Roses”. Un nuovo capolavoro? Non possiamo ancora sbilanciarci in merito, un'opera del genere si saggia sulla lunga distanza; sicuramente è ricco di momenti e canzoni incredibilmente suggestive che da sole valgono il prezzo e segnalarne qualcuna non avrebbe troppo senso. Forse l'unica pecca è che in tutti questi quarantacinque minuti manca il guizzo di fantasia a cui i nostri ci hanno abituato, una trovata particolarmente geniale che risalti dal contesto.

Poco male comunque, perché “Wars Of The Roses”, forse più di tutti gli album degli Ulver, vive nella sua interezza e nella sua placida omogeneità. Un prodotto curato in tutti i dettagli, dalla nutrita schiera di ospiti, all'artwork minimale ma bellissimo, per arrivare a una produzione di qualità superiore. Troppo spesso perdiamo più tempo a parlare di musica, invece di ascoltarla e soprattutto capirla. In fin dei conti abbiamo solo perso tempo a parlare di “Wars Of The Roses”, il nostro consiglio è di sottoporvi a quest'opera senza alcun condizionamento e lasciate che sia la musica a parlare. Un disco da ascoltare, ancora ed ancora...



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