Heidevolk
Walhalla Wacht

2008, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 17/12/12

Dalla prolifica (musicalmente parlando) Olanda, tra pietre runiche, paesaggi tempestosi e verdi colline all’insegna della più autentica cultura pagana, approdano fino a noi gli Heidevolk. Forte di un buon debutto datato 2005, la formazione a sette presenta nel 2008 il secondo full-length “Walhalla Wacht che, pur senza eguagliare i toni avvincenti dell'esordio, non delude gli appassionati di sonorità viking/folk metal.


Primo punto a favore dei Nostri è l’uso della lingua madre che, come accadeva nella loro prima fatica, crea un effetto “grezzo” in grado di adattarsi all’ambiente vichingo e al sound non troppo elaborato, anche grazie a una certa fluidità vocale. Ci si chiede dove stia il punto a sfavore in questa scelta. Beh, è chiaro il destinatario del messaggio musicale troverà non pochi ostacoli nella comprensione dei testi, ma questo, da un certo punto di vista, rende l'esperienza ancora più affascinante... Un'altra peculiarità degli Heidevolk va ricercata nella line-up, in particolare nella suddivisione dei ruoli tra i due cantanti, Mark e Joris: pienamente consci dei propri mezzi (voce da cantastorie e ben sorretta il primo; parti più estreme il secondo), sanno rimanere nel proprio “habitat vocale”, fatta eccezione per le esibizioni corali, dove le due voci si incontrano creando un effetto armonico delicatamente grezzo. Ben poco si può dire del lavoro di chitarra e basso, sorretti entrambi da strutture lineari e semplici che riescono a lasciare un segno anche solo grazie all'intervento degli elementi folk tanto cari a questo genere; in questo caso la violinista Stefanie sa il fatto suo (“Wodan Heerst”).

L’album, attraverso una sorta di mistica apertura, dà inizio alle danze con "Saksenland", un richiamo... quel richiamo che, accompagnato da fulmini, sembra quasi scomodare il dio Odino. Mentre la batteria della title-track fa sfoggio di sé stagliandosi su un ottimo intro vocale, la brevissima e se vogliamo intima “Naar De Hal Der Gevallenen” non potrà passare inosservata, ricordando l’accordo acustico di una certa “The Islander”, celebre canzone di un ben più nota band finlandese.


Siamo in presenza di un lavoro ben fatto, fluente e piacevole, che di certo non dimostra una grandissima originalità artistica, ma sa come ritagliarsi il proprio spazio all’interno della scena. Uno spazio che gli amanti del genere sapranno gustarsi senza porsi troppe domande.





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