Heidevolk
Velua

2015, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 01/04/15

Qualche anno fa, precisamente nel 2012, scrivemmo entusiasti di “Batavi” riconfermando senza mezze misure il buon lavoro svolto dagli olandesi Heidevolk. Per intenderci, niente che facesse perdere il senno ma, dando a Cesare quel che è di Cesare, è indubbio come la band olandese fin dagli esordi sia sempre riuscita a ritagliarsi uno spazio ben preciso, un luogo intravisto da molti ma percorso solo dai suddetti. Sarà forse il doppio cantato al maschile, sarà forse per la genuinità con cui la band ha sempre affrontato ogni uscita, sarà per lo stretto legame che il sestetto ha, come molte altre band, con la propria terra natia ma una cosa è chiara: il gruppo è ancora in piedi e porta alle stampe questo nuovo “Velua”.

 

E dire che ad un certo punto una vera e propria scossa c’era stata, infatti, la fuoriuscita del cantante Joris Boghtdrincker aveva lasciato un po’ con l’amaro in bocca facendo tremare le fondamenta stabili e rinforzate del gruppo che però, archiviato il capitolo, iniziava già le ricerche del nuovo singer. Ascoltando questo nuovo inciso, la ricerca può considerarsi valida a metà visto che ad osservazione attenta, il nuovo arrivato Lars Nachtbraeker non porta chissà quale ventata d’aria fresca, anzi, sembra quasi che la band abbia ricercato con un lanternino un timbro vocale tanto simile a quello di Joris da non far notare la differenza. Singolare o maniacale, a voi la scelta. Ritrovata la stabilità ciò che arriva a noi qui, è un album che non assume a tutti i costi i toni severi di un concept ma anzi possiede la curiosità per descrivere ciò di cui racconta: storie di brigantaggio e donzelle da salvare, racconti tramandati di padre in figlio tutti ambientati nella Veluwe, territorio boscoso olandese denso di un’ancestrale storia passata. La musica che accompagna l’appassionante lavoro di songwriting non è altro che quella a cui gli Heidevolk ci hanno sempre abituato: la lingua madre, il doppio cantato e l’intensa dose corale (l’incedere di “In het diepst der nacht”), che a questo giro risulta preponderante e incisiva rispetto ad altri aspetti; non fraintendete, ma è giusto dire in questa sede che il fattore “corale” ha smorzato non poco quell’ingombrante ombra di monotonia musicale che ogni tanto, ad accordi alterni, faceva capolino. Quando invece non esiste monotonia, la band intraprende territori robusti, musicalmente e strumentalmente, ed ogni tanto ben rimembra il suo passato inserendo alcuni inserti classici (il violino e l’evoluzione musicale della bellissima “Urth”), passaggi operistici al femminile (“Richting de wievenbelter”) e trova nel nuovo arrivato terreno fertile su cui imbastire un buon brano (“Het dwalende licht”) ritmicamente e vocalmente coinvolgente.

 

“Velua” è senz'altro un buon album, robusto nella sua interezza e musicalmente accessibile, nonché, prodotto magistralmente. Ad ascolto terminato però, desta qualche dubbio l’andamento fin troppo lineare della band che escluso qualche episodio, sembra aver il timore di affrontare quel che c’è al di là del proprio orticello. Il cambio dietro al microfono poi non sembra aver aiutato ed a tutti gli effetti sembra più l’occasione persa di una band che prendendo una decisione “sicura”, ha scansato del tutto ogni tipo di rischio.





01. Winter woede
02. Herboren in vlammen
03. Urth                    
04. De hallen van mijn vaderen
05. De vervloekte jacht
06. Het dwalende licht         
07. Drankgelag
08. Velua
09. Een met de storm
10. Richting de wievenbelter    
11. In het diepst der nacht     
12. Vinland

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