Heidevolk
Uit Oude Grond

2010, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Fabio Petrella - Pubblicata in data: 29/03/10

Spesso si sente parlare, erroneamente, di Olanda come sinonimo o punto di riferimento per l’intero territorio nederlandese. I Paesi Bassi, in verità, sono costituiti da ben dodici province, e tra esse rientrano l’Olanda Settentrionale e Meridionale che formano una regione. E’ facile intuire, allora, come il paese sia frazionato in diverse sottoculture ed etnie territoriali. Gli Heidevolk sono una folk metal band di Arnhem, capoluogo della provincia delle Gheldria, giunta al traguardo del fatale terzo disco sacrificando all’altare del metallo la storia e la cultura della propria terra.
 
Purtroppo, dopo l’avvincente debutto “De Strijdlust Is Geboren”, opera sincera e ricca di toni epici e solenni, la band si è prima schiantata sull’ostacolo del secondo lavoro, “Walhalla Wacht”, ed ora è scivolata sul pericoloso gradino del terzo disco. “Uit Oude Grond” è un platter scialbo, privo d’ispirazione e pathos, figlio di un autoriciclaggio a dir poco inconcludente; tutte caratteristiche antitetiche ai contenuti del primo lodevole album. L’impressione che traspare è quella di un gruppo alle corde e spremuto già dopo pochi anni di attività. Il genere, in più, non apre a diverse strade e la brillantezza della composizione non può essere mascherata facilmente. “Uit Oude Grond” profuma di promessa mancata, di terra bagnata da una pioggia caduta il giorno precedente, di grano accantonato e mai macinato. Il primo trittico di brani, “Nehalennia”- “Ostara” – “Vlammenzee”, è un affogato di noia e piattezza mentre la quarta “Een Geldersch Lied”, seppur ricordi “Het Gelders Volkslied”, contenuta nel debutto, non è completamente da buttare e s’impone, alla fine dei conti, come la migliore del lotto. Altri brani sbiaditi si susseguono stancando mortalmente fino a saggiare l’ottava “Karel Van Egmond, Hertog Van Gelre” che un po’ di brio concede, grazie ad una ritmica incalzante. La successiva “Levenlots” presenta una melodia avvolgente condita da una piacevole sensazione di epicità sopita. “Deemsternis” è una strumentale non particolarmente coinvolgente che apre la strada a “Beest Bij Nacth”, marziale traccia di chiusura.
 
Picasso affermava che i mediocri imitano mentre i geni copiano. Gli Heidevolk, ahimè, finiscono per riconvertirsi in un disco che per consistenza e fruibilità rammenta un vuoto a perdere di cui tutti sentono il bisogno di disfarsi come di un’inutile zavorra. Avanti il prossimo.




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool