Heidevolk
Batavi

2012, Napalm Records
Folk Metal

Recensione di Eleonora Muzzi - Pubblicata in data: 02/03/12

Il mondo del pagan metal deve molto al death, soprattutto al death melodico di matrice nordeuropea, esattamente come il viking e in parte il folk, anche se quest'ultimo non sempre rientra nella macro-categoria. Il tipo di suono che esce dagli amplificatori è relativamente simile, a volte più melodico, a volte più estremo (leggi tendente al black metal), soprattutto sul fronte slavo. Poi ci sono gli Heidevolk, che dalla provincia olandese di Gheldria (Gelderland nella lingua d'origine) cavalcano l'onda di un folk/pagan più melodico e meno aggressivo. Niente growl o scream, o un'alternanza tra queste due tecniche vocali e la voce pulita, bensì due voci maschili, una dal timbro più basso e l'altra rassomigliante al tenore, che si intrecciano e raccontano storie dalla mitologia germanica. Questa loro caratteristica peculiare li ha resi particolarmente facili da ascoltare, anche per i neofiti del genere o i non amanti delle grida o dei gorgoglii nei microfoni, oltre a farli risaltare parecchio, come se i Nostri avessero un loro personale riflettore, nel mare di band dello stesso genere.

Esce a due anni dal precedente “Uit Oude Grond” il nuovo “Batavi”, un album in pienissimo stile Heidevolk, ovvero compatto, ricco di melodie e strumenti folkloristici, nonché caratterizzato dalle due voci maschili che ormai sono il trademark della formazione. Nove tracce per un totale di circa 40 minuti di musica, “Batavi” è una chicca per i fan della band e del genere. Contiene tutti gli ingredienti per gli appassionati di sonorità folk/viking, ma potrà sicuramente essere apprezzato anche dagli ascoltatori casuali. Rispetto ai precedenti, il disco ha un tocco più vicino all'heavy metal classico; le chitarre si accollano la maggior parte del lavoro e, assieme alle voci, costituiscono l'elemento portante dell'architettura del disco. Inoltre, questo sono le maggiori fautrici delle melodie e costituiscono una sezione ritmica di pregevole fattura, che sostiene il peso non indifferente di strumenti come il violino, che di tanto in tanto fa capolino e viene promosso a protagonista assoluto nella strumentale “Veleda” (un ottimo brano acustico che ricorda vagamente “Katuman Kaiku” dei Turisas di qualche anno fa) o il flauto, che accompagna l'intro di “De Toekomst Lonkt”. L'heavy metal al quale accennavamo in precedenza emerge nei riff di “Als De Dood Weer Naar Ons Lacht” e “Einde Der Zege”, mentre in alcuni momenti di “In Het Woud Gezworen” risulta talmente palese da far scattare la mente verso band storiche del panorama hard&heavy, piuttosto che ricordare colleghi come Amon Amarth o simili. Questo elemento di distacco regala una certa freschezza ad un sound che alle volte rischia di cadere preda di una certa monotonia, o almeno allontana questo spettro per un po', pur non scacciandolo del tutto.

Infatti non è tutto oro ciò che luccica. “Batavi” non è un brutto disco, ha i suoi ottimi momenti così come i suoi cali, del resto è normale... Capita tuttavia che questo si “incastri”, per così dire, e cerchi di prolungare certe canzoni che avrebbero funzionato perfettamente anche con un minuto o addirittura due in meno, come “In Het Woud Gezworen”, brano da sei minuti con un bridge eterno e un tantino eccessivo che spezza troppo il ritmo e ben presto diventa noioso (la stessa canzone è afflitta da una certa ripetitività che sulla lunga distanza non paga).

Detto questo, rimaniamo dell'opinione che gli olandesi siano riusciti a tornare sugli scaffali con un album estremamente valido, con i suoi cali fisiologici ma anche momenti molto ispirati e alcuni brani che in sede live hanno tutte le carte in regola per mettere a segno dei centri perfetti, benché l'olandese non sia la lingua più facile del mondo da parlare e, di conseguenza, da cantare. Un po' di attenzione in più per i dettagli avrebbe giovato moltissimo a questa nuova produzione, ma, tutto sommato, “Batavi” merita l'attenzione che gli verrà riservata.





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