The Ocean
Anthropocentric

2010, Metal Blade
Prog Metal/Sludge

Anche i The Ocean sono umani: questa volta ci regalano solamente un buon disco
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 15/11/10

Con un leggero ritardo sulla tabella di marcia arriva finalmente “Anthropocentric”, la seconda parte dell'ambizioso concept sulla critica alla teoria cristiana del creazionismo, diviso in due dischi a brevissima distanza, dei tedeschi The Ocean. Se “Heliocentric” doveva essere il capitolo più atmosferico, “Anthropocentric” doveva rappresentare il lato più violento del combo capitanato da Robin Staps, ormai una vera band e non più un collettivo. Se nel primo caso i nostri hanno mantenuto la parola sfornando un autentico capolavoro, nel secondo le cose non hanno funzionato nel migliore dei modi.

Ma arriviamo subito alla “vexata quaestio”: c'era proprio bisogno di “Anthropocentric”? Per dirla alla Oscar Wilde, in questo caso non è la domanda ad essere indiscreta, ma la risposta: no. No perché in tutto “Anthropocentric” non c'è un brano che possa reggere la bellezza e profondità di un pezzo qualsiasi di “Heliocentric”, evidenziando un deciso calo di ispirazione e una minore cura nella stesura dei brani. Vista la lavorazione in contemporanea dei due album, forse stavolta l'ambiziosissimo Staps ha sovrastimato la bontà delle sue idee, ottime per i primi cinquanta minuti, ma non brillantissime nei secondi cinquanta. Nella recensione del primo capitolo abbiamo parlato di parole chiave (atmosfera e voce), potremmo fare lo stesso per questa nuova fatica.

La prima certamente è sorpresa. Con i The Ocean dovremmo ormai essere abituati, ma quando ti senti dire che questo full doveva essere la controparte “metal” del concept, ci si attenderebbe uno stile vicino a quello ascoltato (e venerato) in lavori come “fluXion” o “Hadean/Archaean” (il primo disco di “Precambrian”). Invece anche stavolta cambiano le carte in tavolo: ormai la fase strettamente metalcore è tramontata per i nostri, gettandosi a capofitto nel calderone “post-metal”, un territorio dai confini quasi sterminati e in cui bisogna davvero sapersi muovere. Quindi c'è un certo ritorno all'irruenza delle chitarre e del cantato, senza però che questo prenda il sopravvento, anzi, lasciando comunque ampio spazio a melodie e soluzioni “spaziali” che hanno decretato la fortuna di “Heliocentric”. Una sorta di ibrido quindi, in cui si sentono più che mai le influenze, stavolta non sufficientemente filtrate nelle maglie sapienti targate The Ocean. Basta scorrere le prime tracce per rendersi conto che lo spettro degli Isis è sempre dietro l'angolo, come la presenza un ritornello smaccatamente Deftones, di citazioni ai Mastodon, e così via. Non per forza una colpa, ma non un punto a favore.

La seconda parola chiave potrebbe essere eterogeneità. Intesa nell'accezione “negativa” del termine purtroppo. “Heliocentric” faceva della dilatata compattezza la sua forza, “Anthropocentric” sembra non avere un centro di gravità, presentando una tracklist fin troppo eterogenea, in cui momenti heavy e rarefatti si intrecciano senza darsi forza vicendevolmente, persino all'interno dello stesso brano. Esemplificativo è il primo pezzo, la title-track “Anthropocentric”: nove minuti in cui i primi tre circa scorrono abbastanza monotoni e pesanti, per poi decollare una volta che Rossetti decide di utilizzare il pulito e Staps ritorna a tessere trame dilatate e oniriche. E questo purtroppo si ripete un po' ovunque, con uno scarto netto tra le parti metalliche e quelle atmosferiche, come se la band sappia ormai più giostrarsi nelle ultime, risultando forzata una volta chiamata a pestare duro.

Impossibile poi non sottolineare la singolare disposizione e lunghezza (scarsissima) di due splendidi pezzi come “For He That Wavereth…” e “The Grand Inquisitor III: A Tiny Grain of Faith”, davvero profondi, ma fin troppo corti e stoppati sul più bello, lasciando quasi basito l'ascoltatore passando alle tracce successiva, non appena si “entra” emotivamente nella canzone. Probabilmente la spiegazione è legata al concept che non richiedeva un minutaggio più abbondante, a noi comunque rimane l'amaro in bocca, salvo poi piazzare un brano strumentale, seppur pregevole e “oceanico”, di oltre sei minuti poco dopo. Insomma idee un po' confuse. Un disco da buttare? No. Certo se avessimo dovuto giudicare unicamente da “Sewers Of The Soul”, forse il brano più brutto di sempre dei The Ocean (a proposito, lasciate ai Mastodon quello che è dei Mastodon, per favore), o dal confronto tra le due conclusive dei rispettivi capitoli, “The Almightiness Contradiction” e “The Origin of God” (ascoltarla a mesi di distanza mette ancora i brividi), avremmo dovuto sfoderare un votaccio, ma fortunatamente non è così.

Perché se anche un disco che, sinceramente, ci ha “deluso”, si merita un bel sette, sta a significare che i The Ocean sono comunque una delle formazioni più illuminate della scena odierna, tra i pochissimi a cui piace rischiare, anzi strafare, spesso (anzi quasi sempre) vincendo. Stavolta non è così... Certo con un pizzico in meno di pignoleria potreste anche aggiungere un punticino in più, ma allora non dovremmo considerare la portata di “Heliocentric”, anch'esso pietra miliare della band se non fosse stato scritto “Precambrian”, ad oggi l'esperimento più riuscito dei nostri. Peccato, ci avete provato, ma ritorniamo ad ascoltare “Heliocentric”.



01.Anthropocentric

02.The Grand Inquisitor I: Karamazov baseness

03.She Was The Universe

04.For He That Wavereth…

05.The Grand Inquisitor II: Roots & Locusts

06.The Grand Inquisitor III: A Tiny Grain of Faith

07.Sewers Of The Soul

08.Wille Zum Untergang

09.Heaven TV

10.The Almightiness Contradiction

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