The Ocean
Pelagial

2013, Metal Blade
Prog Metal

Un viaggio dalla superficie alle profondità marine: l'ennesima sfida vinta dai The Ocean

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 29/04/13

E al sesto album i The Ocean omaggiarono l’oceano. Sembra strano che una band con tale nome ci abbia messo anni di carriera e cinque full-length per affrontare la vorticosa discesa dalla superfice alle profondità marine, un nuovo concept che doveva restituire in musica le stesse sensazioni di un’ipotetica immersione oceanica, facendo cogliere agli ascoltatori ogni minimo cambiamento di luce e pressione, senza mai tradirne la continuità, in modo fluido, organico e naturale.

 

Una sfida raccolta solo ora dal mastermind Robin Staps, il quale sappiamo bene non fa nulla per caso, evidentemente consapevole del livello raggiunto dalla band (perchè ormai non si può parlare più di collettivo da anni) e desideroso di porre nuovi standard e raggiungere nuovi obiettivi con la sua creatura. Propedeutici in questo senso i due album precedenti, “Heliocentric” e “Anthropocentric”, che dopo l’ascolto di “Pelagial”, assumono ancora più valore, avendo retto benissimo il tempo (specialmente il secondo, la cui unica pecca fu uscire a pochi mesi dal primo, a nostro avviso, un capolavoro) e fungendo da sorta di preparazione al nuovo arrivato. Notiamo infatti che molti spunti saggiati nelle pubblicazioni del 2010 sono presenti nel 2013, ma ancor più sviluppati, rifiniti, complessi, con una caratterizzazione unica da rendere “Pelagial” non solo un disco a se stante, ma sicuramente una delle opere più articolate e ambiziose dei nostri.

 

Occorre fare un passo indietro: “Pelagial” nacque idealmente come album interamente strumentale, composto da un’unica enorme traccia di 53 minuti, un “prog journey”, attraverso le sezioni del dominio pelagico, senza soluzione di continuità e senza la necessità di alcuna voce. Tutto ciò dovuto anche alle condizioni di salute del frontman Loïc Rossetti, accusando problemi alla voce dopo il lunghissimo tour in tutto il mondo che seguì la pubblicazione di “Heliocentric” e “Anthropocentric”. Fortunatamente il buon Loic si riprese in tempo (originariamente avrebbe dovuto cantare solo nelle due tracce finali) e Robin tornò in parte sui suoi passi, scrivendo quindi un album più “canonico”, senza rinunciare all’idea unitaria primigena, imprimendo al disco umori e sensazioni che mutano al passare dei minuti.

 

Più che dal punto di vista prettamente stilistico, ci ritroviamo infatti con l’impianto sonoro dei The Ocean che ben consciamo, seppur come già detto ulteriormente affinato, la sfida vera di Staps è stata a livello di scrittura, nel far convivere le melodie delle prime tracce, ovvero la superficie oceanica e le atmosfere plumbee e opprimenti della seconda metà dell’opera/profondità marine, dove i nostri si abbandonano alla pesantezza postmetal/sludge/doom con naturalezza, riuscendo a fare percepire ogni passaggio in modo chiaro e deciso e senza tradire l’unità di cui sopra (le tracce infatti sono comunque molto legate tra di loro).

 

Benchè anche con “Precambrian” i The Ocean si lanciarono in un esperimento simile di suddivisione “scientifica” della tracklist, la grandezza in dote a “Pelagial” è che questa suddivisione si ritrova anche all’ascolto, dando quindi tridimensionalità al concept e regalando agli ascoltatori un’esperienza sonora molto appagante. Ascoltatori che, lo diciamo subito, dovranno portare pazienza nel giudicare il lavoro, in quanto decisamente complesso e strutturato, che mostra tutte le raffinatezze del songwriting e della produzione (esemplare) a poco a poco, con il consueto apporto di archi, pianoforte e il caleidoscopio di stili e generi come sempre dosati con perizia certosina. Un viaggio musicale che va di pari passo al concept lirico, addentrandosi nelle profondità della psiche umana, come ci ha spiegato lo stesso Robin nella recente videointervista in arrivo prossimamente e a cui vi rimandiamo per approfondire questo aspetto: “Non volevamo certo parlare delle battaglie tra capodogli e calamari giganti”.

 

Che dire ulteriormente: “Pelagial” va a porsi di diritto sul podio (potremmo azzardare a pari livello) dei migliori album dei The Ocean, un disco che sa unire aggressività e melodia, tecnica e immediatezza, offrendo diverse chiavi di lettura, in quanto l’opera verrà presentata anche nella forma strumentale, che vi assicuriamo regge benissimo il confronto con la controparte cantata, sapendo esprimere parimenti intesità e ricchezza di contenuti. Se vi aggiungiamo il solito packaging mostruoso a cui i nostri ci hanno abituato, non sappiamo proprio cosa dirvi ulteriormente per spingervi all’ascolto e all’acquisto di “Pelagial”. Un disco pensato, scritto e realizzato come meglio non si poteva.





01. Epipelagic
02. Mesopelagic: The Uncanny
03. Bathyalpelagic I: Impasses
04. Bathyalpelagic II: The Wish In Dreams
05. Bathyalpelagic III: Disequillibrated
06. Abyssopelagic I: Boundless Vasts
07. Abyssopelagic II: Signals Of Anxiety
08. Hadopelagic I: Omen Of The Deep
09. Hadopelagic II: Let Them Believe
10. Demersal: Cognitive Dissonance
11. Benthic: The Origin Of Our Wishes

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