Praying Mantis
Sanctuary

2009, Frontiers Records
Heavy Metal

Recensione di Davide Panzeri - Pubblicata in data: 09/06/09

Nascono nell’ormai lontano 1977 da un’idea dei fratelli Troy (Tino e Chris). Il loro primo demo, intitolato “The Soundhouse Tapes”, ebbe un discreto successo. Successo che li portò a fare da supporting act al primo tour britannico di una "piccola" band chiamata Iron Maiden.
Ormai sul trampolino di lancio, pubblicano il loro primo album “Time Tells No Lies” che vede alle pelli Dave Potts ( ex Ten Years After) e Steve Carroll alla voce e chitarra.
Gli anni successivi sono un susseguirsi di produzioni discografiche e continui cambiamenti di line-up, sto parlando di gente del calibro di Paul Di’anno, Dannis Stratton, Clive Burr (tutti ex Iron Maiden), Bernie Shaw (ex Grand Prix), Gray Barden (ex MSG), Tony O’Hora, Mark Thmpson-Smith, John Slogan (ex Lone Star) e Dougie White (ex Malmsteen).
Non sono state però tutte rose e fiori, nel 2003 la band si è presa una pausa, salvo poi tornare sulla scena quattro anni dopo al Bang Your Head Festival, e più tardi, nel 2008, all’Headbanger’s Open Air festival durante le fasi di registrazione del nuovo lavoro “Sanctuary”.


La band è attualmente composta da Mike Freeland alla voce, Andy Burgess alla chitarra, Benjy Reid alla batteria oltre ai due sempre presenti fratelli Troy.


Il sound della Mantide Religiosa è rimasto invariato, sempre fedele alla cara NWOBHM. Certo è che il genere proposto è in evidente lento logorio. Non sono ormai molte le band che rivolgono le loro attenzioni a quello che ha dato il via a tutte le sfumature metalliche e rock. Senza andare a scomodare i giganti come Iron Maiden, Saxon e Judas Priest, album di questo tipo sono sparuti scogli nell’immenso oceano, piccoli richiami a quei favolosi anni ’80 che tanto hanno dato alla scena heavy metal.


Il timore che questo scoglio possa tornare a fare parte delle profonde acque metalliche è forte. Per fortuna non siamo di fronte a un album scialbo e senza mordente. Subito in partenza capiamo che i nostri non sono affatto pronti ad essere sopraffatti dalle onde. “In time” e “Restless Heart” sono la combo che ti aspetti, energiche, briose e immediate, nonostante la seconda sia meno lanciata, tempisticamente parlando rispetto all’opener. La successiva “Tears In The Rain” è, assieme a “Lonely Way Home”, uno dei due mid-tempo semi ballad che troviamo nell’album. Meno ispirata la prima e più efficiente la seconda, la quale strizza l’occhio verso sonorità Hard Rock. Influenza che si ripercuote in maniera sostanziale anche per tutto il resto del cd e che possiamo notare grazie agli armoniosi giri di chitarre ed alle piacevoli comparsate di tastiera. La restante parte di “Sanctuary” si attesta su buonissimi livelli di songwriting a parte piccolissime eccezioni. A partire dalla, per me fenomenale, “Sanctuary”, forse la traccia più riuscita dell’intero lavoro e punto più alto, passando per “Threshold of a Dream” introdotta dalle splendide note di chitarra e dal basso di Chris, fino a giungere ad “Highway” che risulta essere al mio orecchio la canzone più opaca ed incolore.


In definitiva, le sensazioni avute sono quelle di un gruppo fedele al proprio credo metallico, che non disdegna contaminazioni hard rock per rendere più appetibili le proprie opere anche a tutti i non-defender. Il risultato è apprezzabile, non diventerà probabilmente un masterpiece, ma rimane una valida proposta per poter passare una cinquantina di minuti all’ascolto dell’heavy metal old style.





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