Led Zeppelin
Led Zeppelin IV

1971, Atlantic Records
Hard Rock

Recensione di Marco Somma - Pubblicata in data: 11/01/10

In ambito rock recensire un disco come questo è come provare a criticare la toccata e fuga in re minore di Bach e pretendere di farla franca. In quasi quarantenni su questo LP sono state costruite più voci e leggende che sul mostro di Lochness. Prima i continui ritardi sulla data di pubblicazione, quindi le indiscrezioni confermate e poi smentite sul formato, ed in fine i supposti contenuti occulti figli della passione per l’esoterismo del chitarrista. E ancora i tentativi di interpretare le immagini del bookled, le accuse di utilizzo backmasking (tecnica per l'inserimento di messaggi nascosti nelle registrazioni audio), ci sarebbe materiale per scriverne interi saggi e probabilmente c’è anche chi ne ha scritti. Gran parte di tanto parlare è il frutto della fantasia di giornalisti e fan a caccia di rivelazioni sconvolgenti. Eppure i motivi per iscrivere questa fatica al rango di mito ci sono, messe da parte le illazioni rimane infatti la musica e dentro di magia ce n’è e anche parecchia.


Siamo ai primi mesi del 1971 quando lo storico chitarrista Jimmy Page in una breve intervista annuncia che il prossimo disco targato Led Zeppelin sarà il prodotto di uno sforzo volto a creare il più alto esempio di musica moderna dalla nascita della band. Un’affermazione ai limiti della boria e che oggi verrebbe immediatamente congedata come una banale e fin troppo sentita trovata pubblicitaria. Questa volta però la storia non smentirà in alcun modo le anticipazioni. Il giorno 8 novembre dello stesso anno un LP privo di qualsiasi riferimento fatta eccezione per la casa discografica compare finalmente sul mercato. Sulla copertina di fatto non campeggiano nè nome della band nè titolo di sorta… Buona parte degli ingredienti che costituiscono la ricetta appartengono già alla storia della musica. Rock, folk, blues, jazz… Ma cercare una dissezione dell’opera nel tentativo di dare un nome ad ogni singola particella che la compone è un operazione sterile compiuta già fin troppe volte. Senza contare che tale operazione non ha mai portato alla scoperta dei organi vitali di questa creatura unica ed immortale.

"Led Zeppelin IV" (per comodità adotteremo il nome più comunemente utilizzato) ha in sé un’alchimia unica. Creando un equilibrio sospeso tra tradizione e innovazione fin dalle primissime note riesce a porsi al di la dei limiti del tempo. "Black dog" e soprattutto "Rock and Roll" su carta dovrebbero costituire semplicemente un ottima commistione di rock e blues della vecchia scuola, ma la voce di Plant è completamente senza controllo e senza remore. Pur non cessando mai d’essere melodioso il vocalist riesce a comunicare qualcosa di viscerale e selvaggio. La chitarra pesante e decisa al limite del violento viaggia in un leggero controtempo sulle ritmiche di basso e batteria. L’effetto è nuovo e dirompente. "The Battle Of Eversore" è un viaggio su lande dove storia e mito si mescolano come in un tessuto di suoni e sensazioni che sembrano venire direttamente dalle terre del Silmarillion. "Stairway To Heaven" non può e non deve essere valutata o descritta. Si può solamente abbandonarsi all’ascolto.

A metà disco anche gli animi meno sensibili non possono ignorare una crescente sensazione di distacco dalla realtà, l’impressione di essere portati con la corrente ad un livello più alto, dove le emozioni si fanno vagamente tangibili e il pensiero si scioglie in colori cangianti. Se poi con il disco avete l’impressione di aver acquistato anche una dose di quelle sostanze tanto in voga all’epoca, niente di preoccupante è solo che l’opera vi sta arrivando e il consiglio è quello di lasciare che accada. "Going To California" è la manifesta intenzione di un disco il cui unico scopo è portarci lungo un viaggio dell’anima. Una ricerca della terra promessa, non priva di rischi, malinconica e sofferta. Un viaggio in cui gli unici occhi sono quelli dello spirito.  Vedere l’eremita ritratto al centro del booklet per credere…


Posologia: Almeno per i primi ascolti si consiglia di assumere l’opera nella sua interezza e senza interruzioni. Come per i sonnambuli il risveglio potrebbe essere traumatico, quindi la cosa migliore è farsi tutto un sogno dall’inizio alla fine.





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