Black Stone Cherry
Kentucky

2016, Mascot Records
Hard Rock

Kentucky" alza di qualche centimetro l'asticella compositiva dei Black Stone Cherry che tuttavia giocano la partita senza rischiare nulla, la band americana è ormai pienamente padrona di una formula ben calibrata tra groove possenti e ritornelli facilmente assimilabili.
Recensione di Salvatore Dragone - Pubblicata in data: 19/04/16

I Black Stone Cherry non hanno mai fatto nulla per nascondere il legame con la terra dove affondano le loro radici, anzi, spesso i loro testi sono farciti di riferimenti a situazioni o esperienze vissute in quei luoghi. Questo il motivo che ha spinto il quartetto di Edmonton ad intitolare il quinto capitolo della loro carriera proprio "Kentucky", album che in qualche modo segna un ritorno ai suoni più grezzi del loro debutto datato 2006. Come dieci anni fa le registrazioni sono state eseguite presso lo studio di David Barrick che ne ha curato la produzione insieme alla stessa band. "Poter registrare di nuovo con David nel suo studio e con l'incredibile strumentazione che ha a disposizione è stato fantastico - ha commentato il batterista John Fred Young - anche perchè abbiamo potuto lavorare vicino casa e le nostre famiglie".

 


Già ad un primo ascolto è facile notare la profondità e l'imponenza delle chitarre detuned di Richardson e Wells, vere protagoniste di un disco scuro come la sua copertina e più cattivo dei suoi predecessori. Un riff ultradistorto e gonfio di fuzz introduce il primo brano "The way of the future", opener perfetta per potenza e melodie accattivanti. Il discorso prosegue con "In our dreams", seppur sposti leggermente il tiro verso una formula più radiofonica, attraversando paesaggi via via sempre più cupi come "Hangman".

 


Il lato southern dei Black Stone Cherry, da sempre marchio distintivo del loro rock, sonnecchia sottotraccia per poi venire prepotentemente a galla con "Soul Machine" e "Cheaper to drink alone", entrambe tra gli episodi più convincenti di tutto il disco. Poca convinzione invece quando si tratta di abbassare i volumi, le ballad soffrono infatti di poca personalità per emergere in un disco di questo tipo che segna la fase più estrema del gruppo.

 





01. The Way Of The Future
02. In Our Dreams
03. Shakin' My Cage
04. Soul Machine
05. Long Ride
06. War
07. Hangman
08. Cheaper To Drink Alone
09. Rescue Me
10. Feelin' Fuzzy
11. Darkest Secret
12. Born To Die
13. The Rambler

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