Black Stone Cherry (Jon Lawhon)
Esce oggi "The Human Condition", settimo album in studio dei Black Stone Cherry. Ne abbiamo parlato con Jon Lawhon, bassista dei rocker del Kentucky, che ha riflettuto anche sulla situazione odierna dell'industria musicale e sulla possibilità di prossimi concerti.
Articolo a cura di Mattia Schiavone - Pubblicata in data: 30/10/20

Ciao Jon, benvenuto su SpazioRock! Come stai?

 

Ciao, grazie! Sto bene e tu?

 

Tutto bene, grazie! Innanzitutto congratulazioni per la pubblicazione del vostro nuovo album "The Human Condition". È il vostro settimo album, che arriva dopo anni 14 dall'esordio e questo mi sembra un grande risultato! Come ti senti pensandoci?

 

Siamo insieme da tantissimi anni ormai e questo è incredibile, soprattutto pensando a come si è sviluppata l'industria musicale negli ultimi anni. Non è semplice continuare a fare musica insieme e vivere di quello. È bellissimo ripensare a tutto quello che abbiamo fatto in questi 20 anni, da quando abbiamo fondato la band alla pubblicazione degli album e dei DVD live.

 

bscband

 

State pubblicando l'album durante l'emergenza per il Coronavirus. Avete trovato difficoltà da questo punto di vista durante registrazione, mixaggio o nelle fasi finali prima della pubblicazione?

 

Il mondo sta attraversando un momento difficile e uno dei settori più colpiti è proprio quello musicale. Oggigiorno i guadagni di una band derivano praticamente solo dai tour e dalla vendita di merchandise, non si può più fare affidamento sulla vendita dei dischi come invece succedeva prima. Oggi la musica viene ascoltata da quasi tutti su Spotify o altre piattaforme streaming e la gente non ha quasi più nessun motivo per spendere soldi su prodotti musicali. Inoltre alcune label per adeguarsi hanno iniziato a modificare i propri contratti con le band, pretendendo anche percentuali dei guadagni da tour, merchandise e altro. Quindi gli artisti rimangono sotterrati da questa industria e i ricavi sono pochissimi. In passato anche noi eravamo in questa situazione, ma poi siamo riusciti a cambiare, acquistare più diritti e grazie a questo siamo riusciti a sopravvivere come band. La pandemia ovviamente ha anche peggiorato questa situazione, non essendoci più i concerti e quindi è tutto molto difficile. Mentre eravamo in studio guardavamo le notizie ed era incredibile essere lì e vedere il mondo che stava praticamente collassando. Era durante il primo periodo in cui ha iniziato a diffondersi il virus, noi non l'abbiamo vissuto proprio sulla nostra pelle perché eravamo chiusi perennemente in studio, ma vedere cosa stava succedendo fuori è stato incredibile. Credo che anche il mood delle canzoni abbia contribuito a questa atmosfera, anche se i brani sono stati scritti prima della pandemia. Ma ad esempio se ascolti proprio le prime parole dell'album sono "People, people, your attention please, I need to tell all y'all about a new disease" e la cosa ironica è che abbiamo scritto questo pezzo più di 4 anni fa. E non è l'unico caso, ci sono canzoni che abbiamo iniziato a scrivere molti anni fa e abbiamo ripreso e concluso ora, che sono davvero indicative del mondo in cui stiamo vivendo oggi.

 

Questa è la prima volta che lavorate su canzoni così vecchie o l'avete già fatto in passato?

 

Scriviamo sempre molte canzoni che magari rimangono da parte per un po' di anni e riproposte poi con alcuni cambiamenti. Ad esempio "Ringin' In My Head" era stata scritta per "Family Tree", subito dopo la pubblicazione di "Kentucky", ma alla fine abbiamo deciso di non metterla in quell'album perché quel disco è molto legato alla tradizioni southern e classic rock, mentre invece la canzone aveva elementi diversi, che stonavano con le altre. Questo è successo per molte canzoni e diversi album, i brani vengono ripresi e modificati anche in base a come ci sentiamo o a quello che sta succedendo nel mondo.

 

Come mai avete scelto di chiamare questo album "The Human Condition"?

 

Abbiamo discusso molto su come chiamare questo album, anche in base a tutto quello di cui parliamo nelle canzoni. Ad un certo punto ho pensato a "The Human Condition" come titolo, ma non mi stavo riferendo alla caducità della vita umana, quanto più all'identità, alle esperienze e a tutto il bagaglio che ogni essere umano si porta dietro. La nostra band ha un'identità precisa e questo perché siamo quattro persone che scrivono canzoni insieme, non solo una.

 

Questa sera festeggerete la pubblicazione dell'album con una vostra performance in streaming. Può dirci qualcosa di più riguardo questo evento?

 

Viviamo in Kentucky e qui sfortunatamente internet non è molto prestazionale [ride, ndr]. Oltre a questo è ovviamente impossibile trovare uno stesso orario in cui i fan in tutto il mondo possono collegarsi e vedere la performance. Quindi per evitare questi e altri problemi abbiamo deciso di registrare a parte la perfomance allo Skypac, qui in Kentucky. Mike, il nostro assistente video, è venuto con diverse telecamere e tutto questo è un modo per festeggiare la pubblicazione dell'album e per dare ai nostri fan un assaggio della performance live, prima di poter tornare su un palco vero e proprio con tutti loro a sostenerci.

 

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A questo proposito, credi che l'anno prossimo riuscirete a programmare in tour in Europa con date anche in Italia?

 

Questo dipenderà soprattutto dai governi europei e da quello che decideranno riguardo lo svolgimento di spettacoli e concerti. Non sappiamo cosa succederà e come si evolveranno le cose, ora in questo periodo si stanno organizzando show in cui il pubblico è distanziato, in modo da rendere sicure le location. Difficile prevedere cosa succederà nei prossimi mesi.

 

Durante la vostra carriera siete stati in tour con moltissime band valide e proposto show fantastici. Se dovessi scegliere in questo momento delle band con cui andare in tour, quali sceglieresti?

 

Una band con cui ho sempre sognato di andare in tour sono gli Aerosmith. Abbiamo suonato in un paio di festival insieme, ma non siamo mai riusciti a farci un tour insieme. Se invece parliamo di band che ci supportino sceglierei i The Josephines. Sono una band con cui ho lavorato in studio, hanno un sound un po' strano, ma sono fantastici! Consiglio a tutti di ascoltarli, io e Chris abbiamo lavorato al loro album in studio ed è venuto davvero bene.

 

Come ultima cosa, ti va di lasciare un messaggio ai fan italiani?

 

Certo, siamo immensamente grati del vostro supporto e di tutta la passione e l'amore che ci dimostrate da sempre. Ogni volta che veniamo lì a suonare ci chiediamo immediatamente quando sarà la prossima e proprio per questo spero che si risolva presto questa situazione difficile, in modo da poter tornare presto sul palco e rivedere la nostra famiglia italiana.

 

Grazie mille della chiaccherata Jon e congratulazioni per questa nuova pubblicazione!

 

Grazie a te, stay safe!




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