Deftones
White Pony/Black Stallion

2020, Reprise Records
Elettronica/Alternative Metal

"Black Stallion" è l'altra faccia di una medaglia senza un briciolo di ossidazione, la solenne cerimonia di gala, nel ventennale di "White Pony", che stende il red carpet ad alcuni dei migliori produttori di musica elettronica dei nostri tempi.
Recensione di Giampiero Pelusi - Pubblicata in data: 15/12/20

A ben vent'anni di distanza, aggiungere qualche parola in più sul capolavoro dei Deftones "White Pony" risulterebbe piuttosto superfluo: due decenni non sono bastati a rimuovere l'influenza indelebile che un disco del genere è riuscito a improntare sul panorama alternative metal mondiale. Sì, perchè dal primo riff chirurgico di "Feiticeira" agli ultimi sospiri psichedelici di "Pink Maggit", scorrono inesorabili emozioni contrastanti, muri di suono maniacali, excursus sognanti ed un ineccepibile connubio tra la rabbia degli albori e la raffinatezza melodica del futuro. "Black Stallion" è l'altra faccia di una medaglia senza un briciolo di ossidazione, la solenne cerimonia di gala, nel ventennale di "White Pony", che stende il red carpet ad alcuni dei migliori produttori di musica elettronica dei nostri tempi, al fine di rivisitarne le tracce. L'interesse per questa componente musicale, difatti, non è mai stato celato dal quintetto di Sacramento che, proprio a partire dalla loro terza opera, hanno sperimentato e scandagliato nuovi territori di matrice ambient e shoegaze, conferendo all'elemento elettronico un'importanza essenziale.

 

Dal sulfureo remix di "Feiticeira", a cura di Clams Casino, si passa a quello di "Digital Bath", arrangiato in chiave più moderna da Dj Shadow: un esperimento non riuscito alla perfezione, che va ad eliminare le atmosfere eteree e dreamy dell'originale, lasciando spazio a ritmiche hip hop che non collimano perfettamente con la voce di Chino Moreno. Di tutt'altra stoffa è il remix di Blanck Mass della violenta "Elite", rivisitata con un approccio industrial, che ne genera una diversa chiave di lettura, pur mantenendo l'impatto dell'originale. "RX Queen", remixata da Salva, rimane abbastanza fedele alla traccia di partenza nelle melodie, con l'aggiunta di un tetro organo in apertura e di cambi di tempo repentini negli intermezzi, mentre invece "Street Carp", ad opera dei Phantogram, rovescia la violenza dell'originale, estrapolandone le vocals e stampandole su una trama più morbida. Il disco alterna alti e bassi per tutta la sua durata: si passa dal remix (se vogliamo chiamarlo così) di "Korea", a cura di Trevor Jackson, dove non v'è traccia del pezzo originario, se non ricercata minuziosamente nell'assetto melodico, alla bellissima riproposizione di "Knife Party" ad opera del duo canadese Purity Ring, che mantiene salde le sensazioni sprigionate dalla traccia iniziale e le eleva al cubo, incastrando, nel ritornello, la voce morbida e seducente di Megan James che si concatena perfettemente a quella di Chino Moreno sotto una meravigliosa pioggia di synth.

 

"Change (In The House Of Flies)" remixata da Tourist è interessante, ma lascia un senso di incompiutezza generato da un'ottimo pattern elettronico che richiama gli stilemi dei Moderat di Sascha Ring su cui, però, viene poco sfruttato il pezzo originario, se non per qualche campionamento del ritornello. "Pink Maggit", ad opera di Squarepusher, se non fosse per la durata fin troppo consistente, sarebbe uno dei pezzi più particolari del lotto, risultato dell'utilizzo di "glitch" elettronici che conferiscono un'anima robotica alla traccia. Non si poteva che lasciare per ultimi nell'analisi lo splendido remix di "Passenger", a cura di Mike Shinoda, che trasforma i riff affilati di partenza in morbidi aloni acquei in cui tuffarsi e respirare a pieni polmoni, senza il rischio di soffocare, ed il remix di "Teenager" da parte del veterano della dark wave Robert Smith, che prende la traccia forse meno nota di White Pony e la catapulta in una romantica ed intima oscurità, eliminando la fumosa batteria dell'originale ed inserendo poche, ma eccellenti note di pianoforte, che spediscono alle stelle l'ascoltatore.

 

"Black Stallion", c'è da ricordarlo, vuole essere un tributo ad un caposaldo dell'alternative metal, quindi una rivisitazione in chiave moderna ad opera di producers molto diversi tra loro. Questo porta, ovviamente, ad un disco piuttosto sconnesso con ritmi, attitudini e impostazioni altalenanti e differenti traccia per traccia. Un sali-scendi continuo che rimane di difficile valutazione, ma che fa tesoro di una produzione eccellente. Pur sapendo che non tutti riusciranno ad apprezzare un lavoro come questo, "Black Stallion" rimane una godibile celebrazione di un capolavoro, che arricchisce un 2020 discografico di per sé già florido per il quintetto di Sacramento, in cima alle classifiche con l'ultimogenito "Ohms". Resta il fatto che i Deftones si dimostrano ancora una volta innovatori e affinati ricercatori di nuovi stimoli sonori e questo disco, pur non essendo un vero e proprio studio album, ne è l'ennesima conferma.





01. Feiticeira (Clams Casino remix)
02. Digital Bath (DJ Shadow remix)
03. Elite (Blanck Mass remix)
04. Rx Queen (Salva remix)
05. Street Carp (Phantogram remix)
06. Teenager (Robert Smith remix)
07. Knife Party (Purity Ring remix)
08. Korea (Trevor Jackson remix)
09. Passenger (Mike Shinoda remix)
10. Change (In The House Of Flies) (Tourist remix)
11. Pink Maggit (Squarepusher remix)

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