Depeche Mode
Spirit

2017, Sony Music
Elettronica

I Depeche Mode compiono un viaggio sonoro tra passato, presente e futuro con un solo obiettivo: confermarsi al top. Ancora un colpo vincente nella carriera della band inglese, capace di scrivere altri pezzetti di storia
Recensione di Salvatore Dragone - Pubblicata in data: 17/03/17

La vigilia che precede l'uscita un nuovo album dei Depeche Mode è un po' come quella prima del debutto della Nazionale ai Mondiali di calcio. Quel qualcosa di cui tutti parlano e che risveglia uno spirito di appartenenza anche tra sconosciuti seduti allo stesso tavolo del bar. Siccome il primo è assolutamente scontato quando si parla di una band di fama mondiale consolidata, è il secondo effetto che diventa la chiave di lettura per comprendere il significato del quattordicesimo studio album della band inglese. "Spirit" è una denuncia senza mezzi termini dell'apatia generale mostrata dalle persone ai problemi contemporanei ma anche una dimostrazione, se mai ce ne fosse bisogno, di stile ed eleganza artistica.

 

Cupo, minimale e a tratti angosciante, il disco poggia le sue fondamenta sulla perfetta simbiosi di testi e musica, dove ognuna è funzionale all'altra. Ed è così che, ascoltando i versi cantati da Dave Gahan, i suoni diventano le immagini di un mondo in scala di grigi, oscuro e opprimente come lo scenario di un film di Nolan. "Stiamo andando indietro", "Dov'è la rivoluzione?" sono alcune considerazioni che sanno di amaro e messe lì come ultimo monito per dare una scossa ad una comunità sempre più prigioniera di paure e insoddisfazioni.

 

Se il messaggio è potente, lo stesso si può dire della componente strettamente musicale. Chiusa la parentesi con Ben Hiller, i Depeche Mode si sono affidati al nuovo produttore James Ford che già si era distinto per i lavori con Florence + The Machine e Artic Monkeys. Un cambio in panchina che non ha influito più di tanto sul risultato finale, tutto si può dire eccetto che le produzioni della band non siano sempre state al top. A questo punto diventa invece rilevante sottolineare come il trio sia riuscito per l'ennesima volta a confezionare delle canzoni di livello altissimo, ovviamente non tutte, con alcune di queste destinate a diventare dei classici. E' il caso ad esempio della già nota "Where's The Revolution?", la cui strofa decadente esplode in un ritornello epico prima del vero colpo di genio, costituito da un bridge dai richiami floydiani. Altro pezzo da novanta l'opener "Going Backwards", che sembra spostare le lancette indietro nel tempo di vent'anni. Qui si avverte una prima differenza rispetto ai precedenti lavori, con la chitarra di Gore nuovamente pronta a ricamare tra le trame di synth e tappeti elettronici. E delicatamente lo fa nell'introspettiva "The Worst Crime", costruita su un arpeggio effettato col tremolo sul quale la sensuale voce di Gahan fa il resto.

 

Non è semplicissimo dare una definizione precisa di quella che è la direzione musicale intrapresa con "Spirit", perché in esso convivono due anime distinte: quella dei Depeche Mode nella versione più attuale e quella esplosa a livello commerciale negli anni '90. Se "Scum" e "You Move" ricalcano la linea intrapresa da "Playing The Angel" in avanti, "Poison Heart" o "No More (This Is The Last Time)" sono invece una rilettura intelligente di un'era più vicina a "Songs Of Faith And Devotion" e "Ultra". Per una volta né l'innovazione come dogma né il desiderio di stupire a tutti i costi devono influire sulla valutazione di un album che ha comunque moltissimi punti di forza - a volte anche andare a guardare nel proprio passato può rivelarsi una strategia vincente. E arrivati a questo punto, finché la band sarà capace di tirar fuori anche solo due-tre canzoni ad album annoverabili per il suo greatest hits, sinceramente non si può chiedere di più.





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