Evanescence
Synthesis

2017, Sony Music
Rock Elettronico

Recensione di Alessio Sagheddu - Pubblicata in data: 24/11/17

La musica è musica e in quanto tale non si cura dei nostri mortali tentativi di catalogarla o farla rientrare in una precisa casella. E' assodato anche dai più scettici – o eretici, se vogliamo – che nessuno è veramente privo di una colonna sonora, di una last-minute playlist o di un qualsiasi filo rosso che ricolleghi le sue emozioni a determinate note. Per questo motivo restiamo attoniti ogni qualvolta l'eco di un'etichetta affibbiata a forza risuona più di un arpeggio ben riuscito. E' sempre stato il caso degli Evanescence. Forse sempre lo sarà. Alla band statunitense capitanata dall'inarrestabile Amy Lee è stata affibbiata praticamente ogni sorta di targhetta – più o meno adesiva – spesso proprio da quegli ascoltatori che, superata la fase adolescenziale, hanno preso un po' le distanze da quella band che per taluni ha sempre ricordato la pubertà musicale.


Non c'è però da prendersela con "Synthesis" che altro non è se non la liberazione artistica e materiale di un'artista che forse non aveva finora avuto la libertà necessaria per esprimersi e pubblicare ciò che veramente desiderava. Inutile negare che il prodotto abbia qualche pecca ma è altamente probile che rappresenti il messaggio più comunemente espresso come: “adesso faccio un po' quello che voglio con la mia musica”. Più che legittimo se si pensa che la tanto acclamata "Bring Me to Life" viene finalmente spogliata – discograficamente parlando – dal famoso duetto (con lo sconosciuto Paul McCoy, ndr) imposto all'epoca dalla Wind-up Records (casa discografica, ndr.) – mai digerito dalla stessa cantante per l'appunto. La struttura dell'album si basa sul dare nuova vita a brani conosciuti e rivestirne altri più o meno passati inosservati. E' il caso di "The End of the Dream", mai eseguita live, che qui ritrova un suo perché e riesce finalmente ad essere presente regolarmente nella setlist del tour tutt'ora in viaggio. Stessa sorte per “Never Go Back” o “My Heart is Broken” che, sebbene svestite della propria chiave originale, riescono comunque a centrare il bersaglio. Se è vero poi che delle volte il treno Evanescence deraglia del tutto (“Lithium”, “Imaginary” o “My Immortal”) rimedia però nel riportare a galla brani pressoché dimenticati (“Secret Door") e nello scoprire piccole gemme musicali ("Hi-Lo").

 

evanescence2017 

Se la nave non affonda mai veramente del tutto è anche sicuramente merito di David Campbell, abile nel creare arrangiamenti maestosi e non pacchiani, delicati e mai invasivi. Volendo tirare le somme, il grande problema di questo disco risulta la scelta dei brani. Non tutte le tracce scelte infatti posseggono la forza di resistere ad un cambio repentino e in alcuni casi anche solo l'esser spogliate dal loro guscio le rende vulnerabili (qualcuno ha detto “Your Star”? Vi ho sentito!). Per l'attuale situazione della band, alcuni potrebbero controbattere che si stia affrontando la questione dalla prospettiva sbagliata. In effetti, a giudicare dai due nuovi inediti ("Imperfection” e la già citata "Hi-Lo"), il futuro di Amy Lee & Co., potrebbe ancora riservarci qualcosa di nuovo, qualcosa che, si spera presto, riesca veramente a rivelare una rinata identità artistica degli Evanescence.





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