Mr. Big
Defying Gravity

2017, Frontiers Music
Hard Rock

Quando ci si trova al cospetto della bravura impersonificata e della classe senza tempo, qualsiasi cosa esca dagli amplificatori di questi signori sarà sempre come miele puro in un mondo fatto di suoni di plastica rivisti e corretti.
Recensione di Marilena Ferranti - Pubblicata in data: 13/07/17

A distanza di tre anni dall'ultimo lavoro, "The Stories We Could Tell", la leggendaria band di Eric Martin torna con un nuovo album, frutto di un'esperienza di decenni trascorsi a calcare i plachi di tutto il mondo. In soli sei giorni di lavoro in studio, a Los Angeles, la magia ha preso forma: "Defying Gravity", il nono album. 
 
 
Eric Martin (voce), Paul Gilbert (chitarra), Billy Sheehan (basso) e Pat Torpey (batteria), con il contributo prezioso del produttore Kevin Elson, hanno strutturato un lavoro che è un vero e proprio omaggio all'indiscutibile bravura di quattro musicisti (polistrumentisti!) tra i migliori al mondo. E pensare che a Torpey era stato diagnosticato da poco il morbo di Parkinson... per fortuna Matt Starr lo ha sostituito egregiamente nelle registrazioni e per una serie di date live, anche se la band non ha mai escluso il suo storico motore rombante, invitandolo ad esibirsi, quando possibile, per almeno un paio di pezzi ad ogni concerto. Ciò che è immediatamente chiaro fin dal primo ascolto è il bagaglio di esperienze dei singoli membri della band che, negli anni, hanno sperimentato qualsiasi tecnica e stile, diventando, ciascuno per il proprio strumento, un punto di riferimento per gli aspiranti professionisti della scena rock globale.
 
 
In uno speciale pubblicato di recente da Frontiers, Billy racconta il making of di "Forever And Back", traccia inclusa nell'album, e descrive il processo creativo di qualcosa che si può percepire in tutto il disco. Si tratta di immediatezza, pulizia, leggerezza, melodie accattivanti e velocità di esecuzione. Fin dalla prima traccia, "Open Your Eyes", con l'intro di Gilbert che spara un riff impossibile da dimenticare (anche perché ricorda vagamente quello di "Come Together" dei The Beatles) e la voce di Martin che aggiungerebbe carattere al più banale dei jingle pubblicitari, è chiaro che ci troviamo al cospetto di un pugno di mostri sacri del rock. E non solo... appena attacca "Defying Gravity", con quell'aria orientaleggiante ma prog veniamo catapultati nel mood del disco, a metà tra il cinismo e la spensieratezza; un sound che sembra proseguire il discorso iniziato con pezzi come "Gotta Love The Ride" del precedente album del 2014 con Martin che canta "I am just a dreamer". Si prosegue con una trascinante e sensuale "Everybody Needs A Little Trouble" e la spensierata,  scanzonata e vagamente country "Damn I'm In Love Again", che potrebbe essere la sigla di un telefilm americano incentrato sulle storie di un gruppo di trentenni scapestrati. "Mean To Me" rialza il tiro con un Gilbert indemoniato, più heavy, e uno Sheehan che cosparge il pezzo col suo groove come un illusionista che ti lascia a bocca aperta. "Nothing Bad (Bout Feeling Good)" è forse la track che rimane più impressa nella prima parte di album, merito anche di una linea vocale in tipico stile Mr. Big, con quei picchi struggenti e di classe che solo Martin può raggiungere, conditi da cori trascinanti ma mai invasivi. "Forever And Back" ha un testo toccante, la storia di un uomo pentito che ricorda un amore del passato in maniera struggente e romantica, poetica, forse il pezzo più emozionante per la sua apparente semplicità che arriva come una raffica di vento in riva al mare. Senza dubbio uno dei tre pezzi più d'impatto e apprezzabili della tracklist, con un solo di Gilbert che parla da sé, mentre i cori la fanno da padrone trasportandoci come onde su e giù per la melodia. "She's All Coming Back To Me Now" purtroppo al primo ascolto non lascia il segno, mentre "1992" ha un'intro di batteria/chitarra da far venire la pelle d'oca e sgranare gli occhi: il passato ritorna nel mood e nel testo che racconta del successo mondiale di "To Be With You": "the fans were screaming so I couldn't refuse... the good people listened... and I was number one in 1992". Davvero pazzesca la pulizia dei suoni, l'impatto dei cori, la semplicità con la quale questi quattro artisti riescono a costruire muri di suoni perfettamente amalgamati e una potenza esplosiva che appartiene a pochi. "Nothing At All" e "Be Kind" (una spruzzata di blues di classe) sono l'ulteriore prova che Martin riesce a imprimere la sua vocalità come l'impronta di un T-Rex su ogni pezzo, rendendo le canzoni interessanti e immediatamente familiari.
 
 
Forse qualcuno potrà malignare sulla mancanza di coraggio nello sperimentare cose nuove, perché il sound e il mood di questo lavoro ricordano molto quello del precedente, ma è bene sottolineare che quando ci si trova al cospetto della bravura impersonificata e della classe senza tempo, qualsiasi cosa esca dagli amplificatori di questi signori sarà sempre come miele puro in un mondo fatto di suoni di plastica rivisti e corretti. Chapeau.




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