Oasis
Standing On The Shoulder Of Giants

2000, Big Brother
Brit Pop

Recensione di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 16/08/17

"Now you understand that this is not the promised land
They spoke of"

 

Contrariamente a quanto hanno tentato di farvi credere, "Standing On The Shoulder Of Giants" fu l'ultimo album degli Oasis. L'ultimo di cui meriti scrivere, parlare e soprattutto cantare. Eccezione fatta per un paio di singoli ruffiani post 2000, la succitata uscita fu l'ultima dotata della dose minima sindacale di mordente, lo stesso che aveva sollevato i fratelli Gallagher dal solco lasciato lungo il marciapiede che da casa loro conduceva al negozio di dischi di Mr. Sifters (si, quello di "Shakemaker") per finire niente meno che sulla spalla (notare il singolare, refuso risultato della fretta) dei giganti guardiani della moneta da £2 di Her Majesty.

 

"Where did it all go wrong?" canta un melenso Noel a metà tracklist. Alcuni se lo chiedono, desolati, ancor oggi.

 

Ormai orfani di una delle ultime band genuinamente ruspanti del panorama rock contemporaneo, ai fan non resta altro che continuare a consumare i classici. Alla legittima esigenza di sostituire il seminale "Definitely Maybe" o il sempiterno "(What's the Story) Morning Glory?" nello stereo, potrebbe rispondere, in determinate circostanze umorali, il blue del loro quarto album in studio. Notar bene che la nota cromatica è in inglese non per esterofilia ma per l'accezione emotiva del termine nel mondo anglosassone (ben allineata col colore dominante dell'artwork e mood del tutto).

 

"Standing On The Shoulder..." è oggettivamente un disco malinconico. È l'eco del vuoto che resta esaurite le spacconate. Ma partiamo da quest'ultime che, del resto, sono il motivo principe per cui si amano/odiano gli Oasis.

 

Tiratasi su la zip dopo la sveltina open air di "Fuckin' In The Bushes", che ben rende lo spirito d'oltremenefreghismo con cui i Gallagher si approcciano all'opinione pubblica, Liam offre una delle sue migliori performance in "Go Let It Out", sorella minore della precedente "Roll With It". A stento dieci parole, attitude da vendere e ritmo irresistibile. Immaginatevela dal vivo. Finito il "Magical Mystery Tour" dei poveri, è il turno dell'ultraterrena psichedelia di "Who Feels Love?", ossia un altro (chiamiamolo) tributo beatlesiano: considerazioni universali e sonorità orientaleggianti.

 

Merita poi citare la funzionale alienazione di "Gas Panic", ideale colonna sonora di una crisi d'astinenza e naturalmente la stupenda "Sunday Morning Call" cantata da un Noel ancora intimista più che auto celebrativo fenomeno mediatico e revisionista. Insomma, lo stesso che ha recentemente rimaneggiato il povero "Be Here Now" con opinabili risultati.

 

«We should have never made ‘Standing On The Shoulder Of Giants' (..) I went ahead and did it, even though I had no inspiration and couldn't find inspiration anywhere.» [Noel Gallagher]

 

Detto così sembra che poi l'abbia ritrovata..





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