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Bloodbath – Survival Of The Sickest

Sin dalla fondazione nell’ormai lontano 1998, i Bloodbath scaraventano sull’ascoltatore ingenti badilate di death stoccolmese vecchia scuola, anche se l’innesto in line-up di Nick Holmes, che non sentivamo grugnire da secoli nei Paradise Lost, ne ha leggermente spostato il focus, prima con la sporcizia blasfema di “Grand Morbid Funeral” (2014), poi attraverso l’aggregazione – complice la presenza del chitarrista dei Craft Joakim Karlsson – di discrete quantità di black metal nello scorso “The Arrow Of Satan Is Drawn” (2018). Modifiche attuate per non vivere esclusivamente nel passato, da parte di un all star project successivamente mutatosi in una vera band, con tutti gli annessi e i connessi del caso e da cui sono transitati nomi pesanti del mondo estremo e affini (Mikael Åkerfeldt, Per “Sodomizer” Eriksson, Dan Swanö, Peter Tägtgren).

Nel nuovo “Survival For The Sickest”, il debutto su Napalm Records, gli scandinavi tornano al familiare metallo della morte di inizio ’90, preferendo, però, rievocare il sound della scena floridiana piuttosto che insistere in via esclusiva su quello nato nella capitale della loro cara penisola. A perfezionare una ricetta anacronistica così sfiziosa ci pensano una serie di ospiti di alto profilo (Barney Greenway dei Napalm Death, Luc Lemay dei Gorguts e Marc Grewe dei Morgoth) che conferiscono un’ulteriore patina rétro a un album grondante frattaglie e marciume già dai colori nauseabondi dell’artwork di Wes Benscoter, artefice delle cover di Cattle Decapitation, Hypocrisy, Nile, Slayer e compagnia cantante.

Brulicante di riferimenti ai maggiori gruppi di Tampa, senza dimenticare gli Autopsy e gli Incantation durante gli agonizzanti passaggi in mid-tempo, i Death e un pizzico di Necrophagist nelle sezioni più squisitamente tecniche e i Sepultura di “Arise” quando prendono piede accelerazioni dal taglio thrash, il quartetto snocciola un pugno di brani efficacissimi, tra riff che torcono le viscere, assoli dalla deliberata fattura melodica e un robusto groove da macelleria pustolosa. Benché l’old school di matrice gialloblu faccia la voce grossa nell’opener dismemeberiana “Zombie Inferno”, con “Putrefying Corpse”, “Dead Parade” e “Affliction To Exinction”, che si immergono nelle lagune solforose di Obituary e Morbid Angel, si assiste a un’incontenibile mattanza a stelle e strisce rimpolpata, in “Tales Of Melting Flesh” e “Malignant Maggot Therapy”, da morbosità e frenesie à la Carcass.

Conquistano il ritornello ficcante di “Carved”, i Deicide imbottiti di steroidi di “Born Infernal” e To Die”, e una “Evironcide” che profuma di carogne mature esposte al sole di mezzogiorno, mentre “No God Before Me” non può non ricordare “Where The Slime Live” con il suo incedere opulento e funereo. Da manuale la prestazione dei singoli, dalla voce spaventosamente cavernosa del frontman britannico, al lavoro alle asce di Anders Nyström e della new entry Tomas Åkvik, sino a una sezione ritmica, frutto dei “soliti” Jonas Renske e Martin “Axe” Axenrot, forse mai tanto vertiginosa e cruenta, malgrado un basso un po’ trascurato in fase di produzione.

Il combo svedese contrappone al motto evoluzionistico survival for the fittest un “Surivival For The Sickest” consumato dai vermi dell’Apocalisse, gravido di orrore, satanismo e di un clima di negatività diffusa figlio degli eventi funesti degli ultimi anni. Un campionario di antiquitates sonore gestite con grande razionalità ed esperienza da musicisti in vacanza dai propri impegni principali soltanto per modo di dire, capaci, probabilmente, di rilasciare il miglior album della carriera a firma Bloodbath. Giù il cappello per questa meravigliosa creatura del Male.

Tracklist

01. Zombie Inferno
02. Putrefying Corpse
03. Dead Parade
04. Malignant Maggot Therapy
05. Carved
06. Born Infernal
07. To Die
08. Affliction Of Extinction
09. Tales Of Melting Flesh
10. Environcide
11. No God Before Me

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