Torna a Milano il Dissonance Festival, evento che da anni dona spazio ai frangenti più moderni del panorama metal, senza risparmiarsi sui nomi. Se è vero che le aspettative erano già alte, considerate le precedenti edizioni, si può definire quello di quest’anno un vero e proprio successo. Andiamo a vedere com’è andata in cinque punti.

LA LOCATION E L’AFFLUENZA

L’abbiamo già anticipato e lo ripetiamo: quest’anno si fanno le cose in grande. E dopo l’edizione 2022 di Padova (flagellata dal maltempo), quest’anno si torna a Milano, nella magnifica e importante cornice del Circolo Magnolia. Un evento che ha inaugurato alla perfezione la stagione metal (e rock) estiva all’aperto: due palchi, diverse aree ristoro all’interno del parco, bel tempo, caldo sopportabile e una corposa line up di tutto rispetto, che scava nel metal moderno più articolato, arrivando fino agli Dei indiscussi del djent. Davanti a tali premesse la risposta non poteva che essere delle più entusiaste: se era quasi scontato vedere il grande spazio davanti al palco principale del Magnolia completamente pieno durante l’esibizione dei Meshuggah, è bello vedere come moltissime persone fosse al parco adiacente all’Idroscalo già poco dopo 15:30, quando gli Shading hanno inaugurato il festival con un’ottima performance. Birra che scorre a fiumi, aree all’ombra per ricaricare le batterie e lanciarsi di nuovo nel pogo: difficile vedere un solo volto scontento.

IL METAL ITALIANO È IN SALUTE

Una lunga schiera di luoghi comuni vede, ormai da tempo, l’Italia con un Paese dove un genere come il metal fa molta fatica ad essere suonato e recepito. E se forse alcuni di questi aspetti non sono totalmente errati, ieri abbiamo avuto la prova vivente del contrario: sono state infatti molte le band italiane che si sono alternate sui due palchi, ognuna con le proprie caratteristiche e ognuna con il chiaro intento di dimostrare una cosa: il metal in Italia esiste ed è in salute. Sarà anche vero che qui, a differenza del Regno Unito, non troviamo band come gli Architects in cima alle classifiche, ma le band da tenere d’occhio tra djent, progressive e death metal sono tante. Tra i Prospective che si presentano carichi come molle con la nuova line up, l’interessantissima fusione di melodia e violenza dei Benthos, l’ironico grind degli Slug Gore e delle loro canzoni dell’insostenibile durata di due secondi e mezzo e la festa dei Damned Spring Fragrantia, che dedicano il loro set al decimo anniversario di “Divergences” non c’è veramente un attimo di pausa.

CE N’È PER TUTTI I GUSTI

Ok, forse questa espressione è un po’ troppo generalista e c’è da ammettere che se non vi piacciono breakdown devastanti, scream dilanianti e poliritmie difficilmente vi sareste divertiti. Ma per chi è ormai ben navigato nel sottobosco djent, prog e -core, le varie sfumature percepite ieri sono veramente tante e diversificate. C’è spazio anche per il deathcore dei Ten56 – a poche settimane dall’esibizione al Legend Club in apertura agli Alpha Wolf – che fanno saltare senza sosta e regalano ai presenti il primo wall of death della giornata. Tornando nel Belpaese, invece, troviamo infatti gli estremismi death dei Fulci, che propongono un set mozzafiato chiudendo la lista di esibizioni nel second stage e il folle djent n’ roll dei milanesi Destrage, che giocano in casa e si trovano davanti un pubblico di dimensioni notevoli, tenendolo comunque in mano senza la minima esitazione e facendolo ballare senza sosta. E prima del gran finale, abbiamo anche un attimo per calmarci e abbandonarci ai ritmi sognanti dei Soen, sempre perfetti nel proporre il loro prog metal più puro, che suonino il nuovo “Imperial” o vecchia perle come “Savia”.

I PADRI DEL METAL MODERNO

Si attende con ansia che il crepuscolo lasci spazio alla notte, prima di ricevere il piatto forte e il motivo principale per cui siamo tutti lì: uno show dei Meshuggah ha bisogno del buio totale per essere perfettamente goduto e assimilato. Sono circa le 22 quando la musica si ferma, le luci si spengono e inizia il lunghissimo build up che si concluderà con l’apparizione dei cinque svedesi sul palco, che si materializzano come monoliti davanti ad una scenografia imponente e iniziano, con “Broken Cog”, un’esibizione che nessun’altra band è in grado di donare. Diciamo la verità, se dicessimo che senza i Meshuggah la maggior parte delle band che li hanno preceduti sul palco neanche esisterebbero, probabilmente non sarebbe un’affermazione sbagliata. I cinque sono, a ragione, considerati i padri del metal moderno e, dopo 36 anni di carriera, sono ancora lì, esattamente come il primo giorno. Non importa cosa propongono della loro sconfinata discografia – anche se ammettiamo che “Born In Dissonace” e “Demiurge” ci fanno saltare di gioia – , quello che conta è che i Meshuggah sono come al solito chirurgici e padroneggiano un mix di violenza e precisione introvabile altrove. Anche grazie ad un impianto scenico di livello semplicemente eccezionale, la band suona come un monolitico e alieno mostro a cinque testa e costruisce un implacabile e devastante muro sonoro, che viene scagliato senza piena in faccia ad un pubblico in estasi. E quando arriva la fine, dopo solo un’ora purtroppo, i presenti si scambiano sguardi increduli: come si può suonare in modo così perfetto sul palco?

NON VEDIAMO L’ORA CHE ARRIVI L’ANNO PROSSIMO

Perché sarà anche vero che la stagione estiva dei concerti è appena iniziata e sarà lunghissima, ma una manifestazione così grande dedicata a questi generi considerati, fino a non troppo tempo fa, di nicchia è qualcosa di unico.

Comments are closed.