Se vi piacciono i crossover, non perdete di vista i Lake Malice, duo di Brighton, UK, usciti da pochissimo con il loro EP di debutto “Post-Genesis”, una self therapy di elaborazione del dolore e di rinascita. Abbiamo incontrato la loro voce, Alice, italiana trasferita in UK per svoltare la sua vita nella musica, in occasione della loro data italiana all’Alcatraz di Milano, in apertura agli Enter Shikari.

Ciao Alice, benvenuta su SpazioRock! È un piacere conoscerti, ho ascoltato il vostro EP “Post-Genesis”, uscito pochissimi giorni fa e sono rimasta davvero impressionata dalla vostra musica. Innanzitutto come stai e come sta andando questo tour con gli Enter Shikari?

Grazie mille. Sto bene, solo molto stanca! Il tour sta andando molto bene, è un sogno per noi perché ascoltiamo gli Enter Shikari da quando abbiamo 16 anni, siamo cresciuti con le loro influenze. Non ci aspettavamo la risposta che stiamo ricevendo, perché non sai mai come andrà quando suoni di supporto a qualcun altro, è sempre un po’ un’incognita.

Vi ho ascoltati molto prima di oggi e devo dire che voi e gli Enter Shikari mi sembrate un’ottima accoppiata! Non vedo l’ora di sentirvi stasera live. Non è la vostra prima data italiana.

Siamo stati qui a marzo, abbiamo suonato con una band che si chiama Bloodywood, di Nuova Delhi. Questa volta invece abbiamo due date qui in Italia, oggi a Milano e domani a Treviso. Devo dire che è stato molto divertente poter parlare italiano con l’audience, anche se a volte mi fa molto strano, perché le stesse frasi che uso normalmente per aizzare un po’ la folla suonano completamente diverse in italiano. È un po’ stressante a volte, soprattutto per il tempo che ci vuole processare e tradurre il tutto, ma è anche molto interessante (ride, ndr).

03 concerti LakeMalice Alcatraz Milano 2023

La band esiste da circa due anni, quindi non da tantissimo tempo, ma avete avuto un successo rapidissimo, arrivando a suonare anche ai grandi festival UK, come il Download, calcando molti di quei palchi a cui tutti ambiscono e che sono anche tanto amati dai fan della musica. Oltre a questo siete già stati opener di grandi band, e ora avete pubblicato il vostro EP di debutto “Post-Genesis”. È successo veramente tantissimo in poco tempo! Come  riassumeresti questo periodo?

Sì, l’ultimo periodo è stato molto intenso, soprattutto perché sia io che Blake lavoriamo ancora a tempo pieno: è l’altra faccia della medaglia. Il nostro è stato sicuramente un percorso diverso rispetto a quello di una band che magari sta in giro per più anni, quel tanto che serve a costruire la propria fanbase, farsi il budget per poter fare diverse cose. Per noi è stato tutto molto, molto veloce, molto inaspettato e difficile da gestire a livello di tempistiche, ovviamente. Abbiamo iniziato a fare tour più o meno quando abbiamo pubblicato i primi singoli, con tutto quello che poi dovevamo fare per scrivere più musica. L’EP per noi infatti è stato un po’ una chiusura del cerchio, è stato un arrivare alla conclusione di questo periodo un po’ pazzo per poter dire: “finalmente possiamo mettere questi pezzi assieme”, ed è da celebrare come cosa, perché comunque, anche se è stato tutto molto veloce, per noi è stato sì uno shock, ma sempre positivo. Siamo molto fieri di quello che siamo riusciti a fare, soprattutto lavorando, perché, sai, lavorare full time significa che lavorare le sere e i weekend, non andare mai in vacanza, perché le ferie che prendi, le prendi per andare a suonare. Quindi, non volendo fare i martiri della situazione, perché non c’è da lamentarsi, però si, è stata dura, e lo sarà ancora, però ovviamente ne vale la pena quando quando hai un riscontro positivo. Avendo la possibilità di fare tour di supporto come questo, riusciamo ad accrescere la sicurezza in noi stessi abbastanza da continuare, valida un po’ quello che stiamo facendo.

Lake Malice Post Genesis cover

Come siete arrivati a dire “OK, è arrivato il momento di mettere insieme questi brani” dando vita a “Post-Genesis”?

Tre pezzi sono stati scritti per l’EP, e poi altri 2 o 3 già esistenti sono stati inclusi perché coerenti con quello che volevamo comunicare con il messaggio dell’EP “Post-Genesis”.  “Post-Genesis” parla della realizzazione delle conseguenze di esperienze dolorose e negative, parla di quello che viene dopo, di quanto questi avvenimenti ci formino come persone. I brani sono stati remixati dalla stessa persona, in modo da avere un suono conforme, ma sì, ci sono brani che avevamo già, e altri che abbiamo scritto più recentemente, è un 50/50 in termini di periodi di scrittura. “Mitsuko”, per esempio, è nuovissima.

Hai citato “Mitsuko”, un brano in cui esplori senza mezzi termini la complessità delle relazioni familiari e interpersonali e delle loro conseguenze. Ho ritrovato queste e altre tematiche correlate anche in altri brani, per esempio “Blossom”, nella quale parli, alla fine, di rinascita. Possiamo dire che sia un po’ questo il fil rouge dell’EP? Sono questi, anche solo in parte, i temi a cui pensavi mentre scrivevi?

Assolutamente sì! È  stato un po’ come un esorcismo l’atto di scrivere questi pezzi. Sono stata in tanti altri progetti prima di questo, e spesso non potevo scrivere i testi, avevo qualcun altro che li scriveva per me, quindi ho trattenuto tutte queste emozioni per tutti quegli anni, soprattutto durante il lockdown, quando abbiamo avuto tutti tanto tempo per riflettere su cose vissute nel passato, un periodo che ci ha anche fatto riflettere su domande come: Cosa ti ha formato? Che cosa ti ha portato a essere la persona che sei con il valore che hai nel presente? Penso che quel periodo sia stato cruciale nell’arrivare a scrivere molte di queste idee. Io e Blake ci siamo conosciuti nel 2021, un momento che che per me era una fase di riflessione e di self therapy, in un certo senso, che mi ha fatto attraversare eventi, traumi passati, tutte le cose che mi sono successe, portandomi a pensare: “Beh, sono arrivata a questo punto, e vado bene così, sono fiera di ciò che sono”. Molte persone cercano di prendere il negativo e metterlo sotto il tappeto. Quindi sì, è questo il messaggio: la rinascita, la presa di coscienza dei propri valori basata anche sulle esperienze negative, sul dolore.

Ascoltando “Post-Genesis” ho sentito un’impronta sonora decisamente UK: una grandissima influenza elettronica, soprattutto drum and bass, ma anche un approccio ai brani molto guitar-based, con dei riff molto heavy. La commistione di questi diversi elementi vi ha comunque portati ad avere un suono coerente, bilanciato. Come ci siete arrivati?

Sì, secondo me la cosa difficile è farlo con gusto e con equilibrio, ovviamente. Come hai detto tu, ci sono un sacco di idee, di ispirazioni che prendiamo da generi diversi. Blake è storicamente un grande fan dei Metallica, di pilastri della musica heavy in generale, ma anche lui ascolta un sacco di musica elettronica. Io sono partita dal Metalcore e dal Nu Metal, quindi Korn, Linkin Park, per poi passare per influenze molto emo, come A Day To Remember, oppure Enter Shikari (esclama, ndr)! Per noi gli Enter Shikari sono un’influenza enorme in quello che facciamo.
A livello più recente, io e Blake abbiamo ascoltato tanto pop, Charli XCX a manetta! Grimes, ma anche artisti hyper pop tipo Slayyyter, Sophie. Ascoltiamo molto questi produttori che prendono suoni pop e li portano un po all’estremo. C’è un sacco di pesantezza nella musica pop ed elettronica di oggi che noi portiamo nella nostra musica. Anche la drum and bass ovviamente è una grande influenza, perché c’è molto anche dei Pendulum, per esempio, in quello che facciamo. Abbiamo ascoltato un sacco di elettronica, come i Disclosure, o nella drum and bass i Rudimental, Devo dire Grimes e Charli XCX sono grosse influenze per me vocalmente.
Non voglio parlare per Blake perché non è qui, però sì lui viene da un background più pesante, ma anche lui ha avuto uno shift recente molto, molto, molto più aperto verso diversi generi.

20 concerti LakeMalice Alcatraz Milano 2023

Negli ultimi tempi suonare in duo sembra essere sempre più gettonato come tipo di formazione. Penso ai Vukovi, ai Wargasm per dirne un paio. Come mai secondo te? Qual è per voi l’aspetto positivo di essere un duo?

Per noi è stata una cosa molto personale, perché arrivavamo tutti e due da esperienze un po’ negative, da progetti che magari non ci hanno portato dove volevamo, creandoci un sacco di frustrazione. Avere troppe persone in un progetto solo, che magari vogliono prendere una direzione diversa o che si scontrano, può creare dei problemi nel pensare in modo unisono.
Siccome arrivavamo da una situazione molto simile, e vedendo che comunque riuscivamo a fare quello che dovevamo fare senza problemi, abbiamo pensato di non avere nessun altro in line up, e in quel momento non ci pensavamo neanche al live, era ancora un progetto online. Poi quando sono arrivati i live ci siamo detti: “bene, e adesso?” (ride, ndr). Ora abbiamo dei musicisti con i quali suoniamo dal vivo e con i quali abbiamo dei rapporti molto, molto belli. Ci troviamo bene così, ad avere questo questo equilibrio tra noi due, perché siamo molto in linea con i gusti, con le influenze e sarebbe superfluo forse avere qualcun altro con noi.

Da italiana trasferita in UK e che fa questo tipo di musica, cosa hai trovato lì che in Italia non sei riuscita a trovare? In particolare a Brighton, che è microcosmo musicale che ha pochi simili.

Brighton è sicuramente una bolla liberale. In generale è un discorso complesso, perché la grossa differenza è l’ecosistema musicale. Forse è perché ci sono più persone interessate alla musica pesante lì rispetto all’Italia, come succede anche in Germania per esempio. È semplicemente una questione culturale. È proprio una questione di numeri, ci sono semplicemente più persone che ascoltano metal, ci sono più soldi che girano nell’industria, ci sono più supporti e più investimenti in artisti emergenti e quello porta ad avere più opportunità. In Italia magari sì l’opportunità arriva, ma magari a volte per vie televisive come è successo ai Måneskin. Quindi o il progetto diventa mainstream o non va, rimane tutto molto di nicchia, non esce molto dalla sfera italiana. 
Brighton per me come città è stata un game changer, perché io sono di Vercelli che è una realtà molto piccola, molto provinciale, nonostante io abbia viaggiato molto tra Torino e Milano, perché poi ho studiato a Torino. Ho fatto musica anche in Italia ed è stato tutto molto bello, molto. Quelle esperienze sono state molto forti, però c’è sempre questo blocco nell’ecosistema musicale che non ti porta a fare il passo successivo, trovi sempre una barriera. Personalmente è stata una questione anche di mentalità. Quando vivevo in Italia non ero così motivata. Ora ho 32 anni, sono arrivata a un punto della mia vita in cui voglio fare tutto quello che posso fare per seguire una passione. Quando sei più giovane, invece in realtà sei più smarrito, indeciso, pensi che vivrai per sempre, ci provi e vedi: se va, va. Adesso sono molto più determinata in certe cose, anche Blake, che ha più o meno la mia stessa età. Affrontiamo tutto in modo pochino più maturo. Non so quanto maturo (ride, ndr), però molto di più di quando avevo vent’anni. Da quando mi sono trasferita, l’ambiente ha aiutato tantissimo a portare a galla chi sono e come mi sento, senza sentirmi giudicata quando esco di casa, con che tutti guardano per come sei vestito o per quello che fai… hai capito cosa intendo dire. Potersi esprimere senza essere giudicati: questo fa una grossa differenza.

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