Un puntata estrema a tinte quasi del tutto europee: il Vecchio Continente mostra fiero le proprie zanne.

Algebra – Chiroptera (Unspeakable Axe Records)
Che la Svizzera sia nota soltanto per la produzione di orologi di precisione, cioccolatini e posate appare un luogo comune ormai vetusto: basta guardare la significativa proliferazione di band in ambito estremo per accorgersi del decisivo contributo dato a esso dalla piccola nazione elvetica. Se il thrash metal più all’avanguardia trovò nei rossocrociati Coroner degli esponenti di grande rilievo, i conterranei Algebra ne rappresentano forse gli eredi meglio attrezzati tecnicamente, considerazione suffragata dal valore dell’ultimo album in studio “Pulse” (2019), un notevole miglioramento rispetto ai pur buoni “Plymorph” (2012) e “Feed The Ego” (2014). Nel nuovo “Chiroptera”, il quartetto di Losanna riesce perfezionare la formula vittoriosa del predecessore, conferendo brillantezza di scrittura agli undici brani del lotto grazie ad articolazioni proggy capaci di fungere da cerniera alle varie influenze presenti. Un tech-crossover tachicardico che amalgama Slayer, Sepultura, Power Trip e Bay Area senza rivelare punti deboli o momenti di stanca, generato con quel rigore matematico che già il moniker sfrontatamente suggerisce: troppo facile, si dirà, eppure in tal caso l’abito fa il monaco.
Tracce consigliate: “Resuscitation”, “Kleptomaniac”, “Eternal Sleep”

Cruz – Confines De la Cordura (Nuclear Winter Records)
Pare trascorso un secolo da quando i Cruz, strisciando, uscirono fuori dalla Catalogna con l’ottimo debutto “Culto Abismal”, ma in realtà di anni ne sono passati soltanto sei, benché dal punto di vista discografico non si tratti di un lasso di tempo insignificante. Considerati comunque i risultati del loro secondo album in studio, ben venga una pausa anche abbastanza sostanziosa, latrice oltretutto dell’ingresso di due nuovi membri, il singer Narcis e il chitarrista M.S., decisivi per l’innalzamento del livello complessivo del songwriting. Al pari del suo fratello maggiore, “Confines De La Cordura” rappresenta un potente attacco death metal tinto di scuola stoccolmese, arricchito, questa volta in maniera convinta e matura, da venature thrash, stoccate crust punk e accenni di sapore black: tutti elementi che rendono ampia la gamma di sfumature proposte dal quintetto di Barcellona. Se a ciò aggiungiamo, poi, una spiccata propensione al doom più malsano nei brani meno diretti e una produzione naturale, si può affermare, senza alcun ripensamento, che il combo spagnolo ha intrapreso la strada giusta per diventare una delle formazioni di punta dell’underground europeo. D’altronde, con una batterista della forza di dieci uomini come Xavi nessun traguardo appare precluso.
Tracce consigliate: “Infamia Insular”, “Els Murs Errants”, “Eones De Sangre”

Gaerea – Mirage (Season Of Mist)
Sembravano gli ennesimi cloni dei Mgła , vista soprattutto l’abitudine di presenziare dinanzi al pubblico e nelle foto di rito con il volto completamente incappucciato sin dagli inizi di carriera, ma i Gaerea si sono rivelati un gruppo davvero originale, prima scaldando i motori con “Unsletting Whispers” (2018), poi ricevendo un plauso universale grazie a “Limbo” (2020). Impossibilitati a promuovere in sede live l’ultimo platter a motivo della famigerata emergenza pandemica, i portoghesi hanno fatto quadrato in studio con l’ambizione di compiere un ulteriore step qualitativo, affinando, senza modificarli alla base, gli aspetti base del proprio stile. “Mirage”, dunque, si presenta come un concept album adulto, i cui temi principali riguardano, non a caso, l’isolamento, la sofferenza, l’incertezza, tradotti da un black metal incisivo e travolgente, alimentato tanto dall’oscurità tipica del genere quanto da un flusso emotivo drammaticamente umano. Il meglio delle suggestioni del metallo nero polacco e islandese distillato entro le maglie un disco a dir poco tempestoso e che si avvale, in cabina di regia, dell’ottimo lavoro di Miguel Tereso, producer di provenienza brutal death capace di conferire un tocco personale ed “esterno” all’insieme. Ormai i lusitani mascherati costituiscono una grande sicurezza in ambito estremo.
Tracce consigliate: “Deluge”, “Arson”, Laude”

Gutvoid – Durance Of Lightless Horizons (Blood Harvest)
Nati soltanto nel 2019, i Gutvoid sono stati protagonisti di un’ascesa fulminea. Originario di Toronto, il gruppo pubblicò digitalmente l’EP di debutto “Astral Bestiary”, rilasciato nel 2020 in formato fisico dalla label svedese Blood Harvest. Poi un altro singolo, “Forbidding City Beneath The Crypt”, lo split “Four Dimensions Of Auditory Terror” con Blood Spore, Coagulate e Soul Devourment e infine l’inevitabile debutto “Durance Of Lightless Horizons”, sempre sulla sopracitata etichetta scandinava. Tiranneggiare l’ascoltatore per mezzo di ariose melodie malinconiche prima di gettarlo senza pietà in quegli abissi dove dimorano i più viscidi divoratori dell’animo umano appare l’intento dei canadesi, facinorosi artefici di un mortifero death-doom che certo poco o nulla ha da spartire con My Dying Bride e sodali. Qui ci troviamo al cospetto di una colossale creatura lovecraftiana che vaga tra atmosfere cavernose e soffocanti e i cui passi lasciano impronte di disperazione impossibili da colmare per uno qualunque degli esseri senzienti della Terra. A tratti monta l’affanno, ma l’esordio dei nordamericani va comunque incasellato positivamente, per un viaggio immersivo sulle spalle dei giganti.
Tracce consigliate: “In Cavern It Lurks”, “Skeletal Glyph”, “Wandering Dungeon”

Venom Inc. – There’s Only Black (Nuclear Blast Records)
Con “Avé” (2017), i Venom Inc. dimostrarono di nutrirsi di qualcosa di più della semplice nostalgia per i Venom di una volta, il cui moniker viene da tempo utilizzato da Cronos dopo una squallida battaglia legale con gli altri membri del gruppo originale. Jeffrey Dunn, Tony Dolan e il nuovo batterista Jeramie Kling – alias War Machine e in line-up dal 2018 – tornano alla ribalta con un secondo full-length, “There’s Only Black”, dall’artwork sorprendentemente minimalista rispetto alle consuetudini, ma provvisto di un sound come sempre ampolloso e sfacciato. L’influenza groove metal insinuatasi nel debutto resta stabile al proprio posto ad accompagnare i riff dal taglio Exodus/Slayer di Mantas e il burbero abbaiare del bassista Demolition Man che, benché meno iconico rispetto al ringhio dell’odiato predecessore, riesce, a tratti, ad assumere toni evocativi mai uditi in passato. Certo, risulta difficile eliminare completamente la sensazione che la versione ideale della band si trovi da qualche parte tra le sue due metà e forse i protagonisti di entrambe le fazioni farebbero meglio a sedere attorno a un tavolo per ripianare le tante questioni in sospeso. I fan dell’epoca di “Prime Evil” (1989) possono comunque ritenersi soddisfatti, anche perché l’auto-parodia non abita da queste latitudini.
Tracce consigliate: “How Many Can Die”, “Come To Me”, “Tyrant”