
There’s a trouble in the air...
Un grosso coniglio rosa esce da dietro le quinte e inizia ad animare gli spettatori sparando magliette ed assumendo pose divertenti. È fatta, finalmente. Anche la pioggia che si abbatteva su Milano di prima mattina è stata spazzata via, con una ventata di ottimismo e di entusiasmo. Non c'è più nulla che si possa mettere tra gli ansiosi fans e i Green Day. Sulle note della eterna “Bohemian Rapsody”, che precede una coinvolgente “Blitzkrieg Bop”, la convinzione sui volti degli appassionati di ogni età accorsi da ogni parte del Nord Italia e dalle nazioni vicine inizia a tramutarsi in esaltazione, e alla fine del tema de “Il Buono, il Brutto e il Cattivo” il boato di acclamazione è la realizzazione di un sogno. È fatta, sono tornati, sono con noi.
Quando Trè Cool approda sul palco, divertente e baldanzoso, quando Mike imbraccia il basso e assume la sua classica posa statuaria ed imponente, quando Billie Joe finalmente arriva e si rivolge alla sua folla, in un abbraccio pacificatore, allora ecco che anni di attesa e rammarico si dissolvono in un attimo, e la carica del Punk Rock travolge tutti, trasformando l’arena in una bolgia di suoni e colori.

Inizia così la parentesi europea del “99 Revolutions Tour”, da quella stessa Milano che nel 2009 aveva accolto la band nel suo momento migliore. Ma la data di ieri è più di un semplice ritorno nel Bel Paese: è la prima di quattro tappe organizzate alla grande in segno di rispetto e lealtà, la rivincita per gli show saltati a Venezia e a Bologna, la dimostrazione della chiusura di un periodo difficile vissuto tra successo, critiche ed abusi.
L’apertura della serata è affidata ai nostrani Bastards Sons Of Dioniso, troppo spesso screditati a causa della partecipazione ad X-Factor, che presentano qualche nuovo brano e si dileguano in fretta dopo l’esecuzione della loro “L’Amor Carnale”. La performance è breve e convincente, ma l’attenzione è completamente focalizzata sull’imminente ritorno dei rockers Californiani. E con la materializzazione del terribile terzetto, accompagnato da Jason White e dagli strumentisti di supporto, le danze si aprono e la festa può davvero iniziare. Ci mette poco Billie Joe a mandare in delirio i presenti: una bandiera tricolore piomba sullo stage, lui la posa prima sulla grancassa di Trè, poi la indosserà come un mantello. Durante “Know Your Enemy”, proprio all’inizio, trascina sul palco una ragazza travestita da suora, che dopo pochi secondi si lancia dall’alto verso il Pit sottostante. È qui che accade il delirio: vola di tutto, vestiti, acqua, biancheria intima, bandiere, striscioni e persone, lanciate in aria con allegria e spensieratezza. Fuori dal Pit si poga, ci creano circles, si improvvisamo walls of death durante i ritornelli più intensi, ma l’atmosfera è sempre leggera e variopinta. Grande lavoro dei tecnici delle luci, impianto audio invece decisamente sotto le aspettative. L’acustica a Rho non è delle migliori, ma qualcosa di più entusiasmante si poteva sicuramente ottenere, per uno show di tali dimensioni.
Billie corre, salta, urla, carica tutti a suon di “Hey! Hey! Hey!”, si lancia in improbabili dichiarazioni d’amore, pronuncia qualche scoordinata frase in italiano, non sbaglia un accordo e spesso si lascia trascinare dalla gioia trasmessa da migliaia di cuori che per una notte appartengono solo a lui. Per fortuna che c è Jason White a colmare, a suon di assoli e riff, i momenti di inebriamento del suo frontman. Mike cavalca la parte sinistra dello stage, si carica i compagni sulle spalle e sprigiona un ritmo penetrante e riverberante. L’esibizione è al limite della perfezione, e il culmine del piacere sopraggiunge con l’arrivo sul palco della Les Paul Junior BJ Signature: “This song is dedicated to all the old Green Day fans!” dichiara Billie, e con Burnout si apre un concerto nel concerto, in cui la band esegue canzoni da “Dookie”, “Kerplunk” e “1,039/Smoothed Out Slappy Hours”. Come spesso accade, la folla si divide: i più giovani infatti non conoscono nè melodia nè testi, i più esperti invece vengono letteralmente mandati in estasi e si abbracciano gli uni con gli altri, rivivendo momenti adolescenziali in un sound quasi vintage che forse nessuno si aspettava più. Per suonare “Knowledge”, salta sul palco un ragazzo gasatissimo che, presa una chitarra, esegue il ritornello senza troppa difficoltà: Billie canta, poi alla fine si rivolge verso di lui ed esclama: “Do you like that guitar? You can take it if you want!”. Da qui si riparte per una seconda metà di concerto carica di enfasi ed energia.
Si ritorna tutti a ballare con “When I Come Around” e l’aspetto comico della band emerge lentamente, prima con una improbabile “Highway To Hell”, poi con “Longview” quando ancora una volta una ragazza viene fatta salire dal Pit al palco, le viene dato il microfono e proprio lei inizia a cantare, nell’entusiasmo generale. L’immancabile binomio “Basket Case - She” riaccende il delirio, Tré si alza in piedi vestito da donna, arriva Jason Freese con un copricapo da faraone e inizia a darci dentro di sassofono, poi tutti stesi per terra, imitando Billie, per associarsi alla dolcissima “Hey Jude” che placa gli animi e introduce la conclusione di uno show più che appagante. Durante “Minority” tutti i musicisti vengono ringraziati uno ad uno. Dopo una pausa di pochi minuti si ritorna tutti in scena per la devastante “American Idiot” e l’acclamatissima “Jesus Of Suburbia”: lacrime e sorrisi sui volti degli spettatori, una passione eterna affiora prepotentemente in un vortice di sudore e complicità.
Sulle note di “Brutal Love” escono tutti di scena, lasciando Billie e la sua chitarra acustica di fronte alla folla esausta e felice. “Time Of Your Life” è il saluto più bello, l’arrivederci convinto e sincero da parte di un uomo che ha tenuto fede alla propria promessa e che è tornato ad animare le folle col suo carisma e la sua personalità.

Due ore e mezza precise di rabbia e amore. Un concerto che accontenta tutti perchè completo e poliedrico, l’inizio di un tour europeo che sa di celebrazione. Tecnicamente, l’ “Uno Dos Trè Tour” è un remake moderno del famosissimo live contenuto in “Bullet In a Bible”, con aggiunte da album storici e soprattutto l’inserimento di successi recentissimi. Non c è molto di innovativo, nella performance dei Green Day: funziona tutto a meraviglia, non ha senso cambiare accorgimenti o scenari. L’allestimento è imponente ma tutto sommato semplice, e i brani vengono sparati uno dietro l’altro senza pause. Un omaggio alla velocità dei Ramones riadattata in chiave moderna e melodica.
La rivincita di Billie e compagni proseguirà per le prossime due settimane, con tappe in tutta l’europa meridionale, a cominciare da Trieste (il giorno 25), arrivando a Roma (5 Giugno) e infine a Bologna il 6 Giugno, per un’esibizione attesa da quasi un anno con la quale il debito degli amatissimi Punk Rockers sarà finalmente saldato.
“To live and not to breathe,
Is to die in tragedy,
To run, to run away,
To find what you believe,
And I leave behind,
This hurricane of fucking lies”.
Scaletta:
99 Revolutions
Know Your Enemy
Stay The Night
Stop When The Red Lights Flash
Letterbomb
Oh Love
Holiday
Boulevard Of Broken Dreams
Stray Heart
Burnout
Geek Stink Breath
Only Of You
F.O.D.
2000 Light Years Away
Knowledge
When I Come Around
Highway To Hell
Brain Stew
St. Jimmy
Longview
Basket Case
She
King For A Day
Shout + Satisfaction + Hey Jude
X-Kid
Minority
American Idiot
Jesus Of Suburbia
Brutal Love
Good Riddance (Time Of Your Life)