I cancelli si aprono alle 16, e per quasi 5 ore lo stadio andrà lentamente rempiendosi. Alle 19.30 salgono sul palco i giovani britannici These Reigning Days, che strappano qualche applauso e destano più di un sospetto: il trio sembra in tutto e per tutto più affine al sound dei conterranei Muse, di lì a poco impegnati in una brillante esibizioni a 150 Km più ad Ovest, che a quello più classico della band che devono annunciare, ma non c è tempo per polemizzare. Mentre i tecnici concludono i preparativi, in sottofondo si ascoltano gli Ac/Dc e i Ramones: alle 20,30 il gigantesco muso di automobile americana targata New Jersey accende i fari e scalda i motori. La cornice del palcoscenico è formata da due maxischermi laterali in alta definizione, sorreggenti un architrave luminoso che proietta scenari digitali e, poi, particolari dal pubblico festante. Si inizia presto a suonare, ed il motivo è semplice: l'esibizione durerà più di tre ore. A differenza dei concerti negli States, più brevi e concentrati, quelli Europei vengono resi indimenticabili dalla lunga durata e dalle grafiche imponenti.
Col suo contagioso sorriso da campagna elettorale, vestito di un giubbotto a stelle e strisce, Jon accoglie il suo pubblico alla sua festa, a cui partecipano ovviamente lo statuario Tico Torres, riccioli d'oro David Bryan e il fenomeno Richie Sam... No, Sambora non c è. Nonostante fosse stato largamente annunciato, non tutti erano a conoscenza della illustre defezione. Il ruolo di chitarrista è personificato dall'ottima riserva Phil X, che non fa assolutamente rimpiangere il vuoto di Richie. L'automobile mette il turbo, le luci cambiano colore. Si parte per la Lost Higway più emozionante di sempre, con Jon che trascina da subito i fans, salutando anche il più lontano partecipante del terzo anello. L'acustica al Meazza non è delle più piacevoli, e mentre le chitarre risuonano splendidamente, la voce del frontman appare inizialmente un po' metallica, ma il problema viene prontamente risolto. Già in estasi dopo "You Give Love A Bad Name", il pubblico del prato si accorge che nel Golden Circle c è ancora molto spazio da occupare. Prontamente, lo staff organizzativo apre a poco a poco le transenne, per permettere a poche centinaia di fortunati l'accesso alla zona più vicina alla passerella attorno al Diamond Ring.
Tutti battono le mani, tutti emanano positività. Anche Jon e Phil, che tra un sorriso e l'altro si lanciano occhiate d'intesa. Phil cambia una chitarra per ogni canzone, Jon gioca a fare lo Springsteen che ha sempre stimato. David dietro di loro è sempre puntuale con cori e ritornelli, e con le mani aperte tra le due tastiere si presta a simpatiche pose per i fotografi. Nonostante un inizio scoppiettante, in cui la band propone subito "It's My Life", la bomba emotiva esplode durante la nuova "Because We Can" con la magnifica coreografia ideata dal Fan Club Italiano: la missione è semplice, ogni spettatore solleva un foglio di plastica colorato, e nel prato si sventolano migliaia di bandierine colorate. L'unico che può godere appieno dello spettacolo magnifico è solo Jon, che a metà strofa si ferma, si volta, ordina ai suoi di interrompere l'esecuzione e rimane solo sul palco, immobile, piccolo e commosso di fronte al colpo d'occhio imponente che San Siro gli sta regalando: una infinita bandiera americana che incorpora la scritta umana "Bon Jovi Forever". Uno scenario da brividi, una delle immagini più belle negli ultimi anni di concerti estivi. La coreografia riesce alla perfezione, e tra la sorpresa di tutti la band ricomincia da capo a suonare. Da qui in poi la strada è spianata verso una serata indimenticabile, attraverso una scaletta da paura che ripercorre la storia del Rock dell'ultimo mezzo secolo. Solo per "Bad Medicine" Jon lascia il palco per avventurarsi sulla passerella tra Diamond e Golden Circle, stringendo centinaia di mani senza smettere di cantare.
Fino all'ultimo i fans fanno richieste a ripetizione, ma ancora una volta i Bon Jovi sorprendono tutti con un encore di sette pezzi, che culmina con una "Livin' On A Prayer" inizialmente acustica e davvero avvolgente, passando per la storica "Wanted Dead Or Alive", quando la coreografia dello stadio viene riproposta per una seconda volta. L'ultimo brano regalatoci è "This Ain't A Love Song", che chiude i saluti di Jon a tutti i suoi colleghi, ringraziando in particolare Phil che con la sua classe ha dimostrato di far parte dei chitarristi che contano davvero. Il ringraziamento più lungo è ovviamente per i 50.000 di San Siro, una gigantesca famiglia che ha abbracciato il proprio idolo con uno scenario che è già memorabile e che sicuramente lo ha fatto innamorare ancora di più del nostro paese.
Non c è da sorprendersi se il fisico del rocker 51enne tiene fino all'ultima nota: Jon è un eterno bambino, il Peter Pan del live, salta in aria alla fine di ogni brano, corre con la chitarra in mano da sponda a sponda del palco, incoraggia i fans in battiti alterni e trova in più occasioni il tempo per scherzare con David e Phil. È un'icona, ed è per questo che stasera era giusto esserci.
Setlist:
That's What The Water Made Me
You Give Love A Bad Name
Raise Your Hands
Runaway
Lost Highway
Born To Be My Baby
It's My Life
Because We Can
What About Now
We Got It Goin' On
Keep the Faith
Amen
In These Arms
Captain Crash & The Beauty Queen From Mars
We Weren't Born to Follow
Who Says You Can't Go Home
Rockin' All Over the World
I'll Sleep When I'm Dead
Bad Medicine
Dry County
Someday I'll Be Saturday Night
Love's The Only Rule
Wanted Dead Or Alive
Undivided
Have a Nice Day
Livin' On A Prayer
Never Say Goodbye
Always
These Days
This Ain't A Love Song