Anthrax
Worship Music

2011, Nuclear Blast
Heavy Metal

L'attesissimo ritorno discografico degli Anthrax con Joey Belladonna alla voce dopo 20 anni
Recensione di Marco Ferrari - Pubblicata in data: 27/09/11

Il 30 ottobre 1938 il geniale Orson Welles scatenò il panico globale attraverso il suo sceneggiato radiofonico la “Guerra dei Mondi”. La potenza mediatica del messaggio fu talmente forte che milioni di ascoltatori rimasero convinti, per ore, che l’invasione aliena fosse iniziata, cosa che, ovviamente, non si verificò. Giustamente vi starete chiedendo cosa abbiano in comune gli Anthrax con il celebre regista e produttore americano, eppure, la risposta è facilmente individuabile nella crescente attesa che ha ruotato intorno alla release di questo album che, con il ritorno di Joey Belladonna, aveva tutte le premesse per essere considerata una delle uscite imperdibili dell’anno, ma andiamo con ordine.

Nel 1990 gli Anthrax diedero alla luce quello che per molti fu considerato il vero canto del cigno della band americana: “Persistence of Time” si apriva con lo scoccare dei secondi, quasi a voler indicare l’avvicinarsi della fine di una delle più splendenti parabole del panorama Thrash anticipando, di fatto, la fine di un epoca. I susseguenti lavori della band capitanata da Scott Ian hanno avuto degli alti e dei bassi, senza però riuscire mai a fare breccia nei cuori dei fan dell’epoca d’oro. Con il rinascere della scena a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, le voci di una reunion si sono fatte sempre più forti fino al definitivo ritorno, in sede live, di tutti i membri dell’epoca “Among the Living” (2005). Il successo del tour raggiunse livelli considerevoli, ma una volta riuniti i cinque membri della band in sala d’incisione, qualcosa si ruppe, ufficialmente per divergenze musicali. L’ingresso di Dan Nelson nella band ed il ritorno di Rob Caggiano (siamo nel 2008) dovevano essere propedeutici all’uscita del nuovo album, che però fu bloccato poco prima della pubblicazione per favorire il nuovo ritorno di Joey Belladonna dietro al microfono. Arriviamo così all’anno corrente con la registrazione definitiva di "Worship Music" ed una serie di segnali che non lasciavano dubbi su di un ritorno alla grandezza del passato: vuoi per il ritorno di Belladonna (da sempre difensore delle sonorità più classiche della band), vuoi per un singolo, “Fight’em ‘til you can’t” che, seppur ricco di modernità nel ritornello, rimanda alle sonorità di “Persistence of Time” (il riff è molto simile a quello di “Gridlock”), il tutto enfatizzato dall’entusiasmo scaturito sull’onda del Big4, grazie a delle set list interamente incentrate sui classici. 

Arriviamo così al presente e possiamo finalmente dedicarci all’ascolto dell’attesissimo “Worship Music” e la potente “Earth on Hell” ci fa quasi commuovere con il suo incedere martellante e ricco di carica in cui le parti più moderne si uniscono bene al suono tradizionale della band. La successiva “The Devil You Know” si apre con un riff pesantissimo e incredibilmente thrash però, mentre tutto lascia presagire una struttura “a la” Exodus, la canzone ci sorprende grazie ad uno stile che ricorda molto da vicino le sonorità più prettamente hard & heavy. Il brano risulta inaspettato, ma non per questo poco convincente e, al contrario, si dimostra uno dei momenti più interessanti del disco, anche in chiave futura. A chiusura di un inizio promettente arriva “Fight’em ‘til you can’t” che dimostra di essere già divenuto un classico della band in pochi mesi. 

Fin qui tutto bene direte, ma ecco che di colpo tutte le certezze date dai primi brani e tutte le aspettative sviluppate negli anni si sbriciolano. I restanti nove brani del disco sono quanto di più spiazzante mi sia capitato di ascoltare in anni di passione per la musica. Quasi a voler confondere l’ascoltatore, ogni brano sembra un soggetto a sé, intriso delle più disparate influenze: si passa dal rock della semi –ballad “Hymn 2”, al power metal di “I’m alive”, senza mai riuscire a dare la giusta freschezza ed ispirazione a brani che risultano eccessivamente monotoni e privi di personalità, tanto che la finale “Revolution Screams” risulta essere l’unico pezzo veramente di nota, nonostante prenda decisamente spunto dagli Slipknot.

Il previsto, e da molti anche sperato, ritorno alle origini degli Anthrax non c’è decisamente stato, ma questo, di per sé, non può giustificare l’insufficienza del disco, visto che la band americana già in passato era riuscita a regalarci pregevoli lavori come “Sound of White Noise”. Il problema di fondo di “Worship Music” sta nella sua generale disomogeneità e, soprattutto, in una ispirazione che, a parte alcuni passaggi, non riesce decisamente a dar segno della sua presenza. Nonostante una produzione impeccabile che ci dona suoni perfetti, il risultato è un prodotto privo di mordente e di quella capacità di innovare che da sempre ha contraddistinto gli Anthrax. Un album che nelle premesse doveva convincere, che nella realtà voleva stupire, ma che si è trasformato in un’occasione sprecata. 





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