Se i Finntroll e gli Eluveitie avessero bisogno di una controparte russa, questa sarebbe sicuramente rappresentata dagli Arkona. La band capitanata dalla carismatica vocalist Masha “Scream” Arhipova, negli corso degli ultimi tempi, si è fatta prepotentemente strada nel mondo del pagan folk metal, pubblicando un numero quasi spropositato di dischi (stiamo parlando di qualcosa come 5 full length, un live album e un DVD in soli 7 anni di vita) che, grazie al loro successo, hanno contribuito a sancire la fama del progetto anche al di fuori dei patri confini.
Il quartetto di Mosca, tuttavia, non vuole essere considerato l’ultimo baluardo di una scena tendente alla ripetizione ossessiva di standard ormai consolidati. Per la realizzazione di “Goi, Rode, Goi!”, gli Arkona si sono infatti avvalsi (per la prima volta nel corso della loro carriera) del prezioso contributo di 40 musicisti ospiti che, con le loro partiture folk, hanno riversato fascino ed atmosfera nei 12 capitoli che compongono il disco. Arkona, il cui nome deriva dall’ultima città pagana della regione slava, distrutta nel 1168 da una crociata indetta dal re Valdemar Il Grande di Danimarca, è dunque una creatura dalla doppia faccia: agguerrita e temibile guerriera mitologica da un lato, tenebrosa sacerdotessa pagana dall’altro. La stessa frontwoman incarna la dicotomia-emblema della propria musica, fornendo una prova vocale varia ed ispirata, in grado di alternarsi tra momenti epici e furiosi, in cui è lo scream a predominare, e parentesi intrise di misticismo ed ancestrale mistero, in cui solenni cori e cantilene la fanno da padrone. L’impiego della lingua russa, per di più, aiuta ad infondere nelle canzoni un senso di lontananza geografico-culturale che non potrà di certo essere colmato tramite un ascolto distratto e superficiale: questa particolarità renderà “Goi, Rode, Goi!” ancora più interessante agli occhi (ma soprattutto alle orecchie) degli ascoltatori.
Gli 80 minuti di musica messi a disposizione scorrono meravigliosamente e senza subire particolari cali di tensione, grazie ad una sezione ritmica imprevedibile, che non lesina blast-beats e chitarre infuocate di matrice black metal, ma soprattutto all’utilizzo di una strumentazione tradizionale che garantisce un’assoluta naturalezza alla proposta della band. Un mixaggio di prima classe, infine, tramuta furiose cavalcate (la conturbante titletrack, la death-oriented “Kolo Navi”), così come controverse suite (“Na Moey Zemle”, “Nebo Hmuroe, Tuchi Mrachniye”) e piccole parentesi di derivazione tradizionale che tanto ricordano arcaiche danze rapite dal freddo della steppa (“Yarilo”, “Korochun”, “Kupalets”), in esperienze al limite della magia. “Goi, Rode, Goi!” è uno dei migliori esempi dell’attuale corrente folk metal: lasciatevi conquistare.