Arkona
Khram

2018, Napalm Records
Pagan Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 19/01/18

Oscurità, paura, oppressione. Sono queste le sensazioni che “Khram”, nuovo disco degli Arkona, riesce a trasmettere negli ascoltatori. Una sorpresa non completamente inaspettata, visto che già con il precedente album “Yav” – la riedizione di “Vozrozhdenie” nel 2016 può essere considerata un piacevole diversivo atto a dare alla band più tempo per portare alla vita il nuovo mondo lunare - la band russa aveva iniziato ad incupire le proprie composizioni, abbandonando quasi completamente i brani più melodici e scanzonati del passato, quelli che presentavano un massiccio innesto di strumenti folk. Basta ascoltare per pochi secondi l’introduzione “Mantra” per rendersi conto del passo in avanti fatto da Masha e soci: un’atmosfera cupissima che non sfigurerebbe all’interno di un film dell’orrore, dove le sensazioni trasmesse principalmente dalla voce della dotata cantante russa riescono perfettamente ad inquietare. 4 minuti a dir poco insostenibili, che settano impeccabilmente l’umore di tutto l’album. La brevità non è stata affatto cercata, tanto che ogni singolo brano viaggia su lunghezze medio alte. Vi è quindi ampio spazio, soprattutto nei brani di più alto minutaggio come “Tseluya Zhizn'” o “Rebionok Bez Imeni”, per dare vita ad una struttura articolata, fatta di multi sezioni capaci di creare sensazioni contrastanti grazie all’uso di strumenti folk in contrasto a quelli elettrici o alla voce di Masha che passa dal growl oscuro a sprazzi di tranquillità cullati dalla sua voce pulita o da cori. Ogni istante è studiato per riuscire a spiazzare l’ascoltatore, che si ritrova così sballottato in un vortice di oscure sensazioni. Anche l'immagine di copertina, così lugubre in un semplice bianco e nero, non permette alcuna distrazione, trascinando fin da subito all'interno dei cupi paesaggi delineati dalla musica della band.

Il lavoro di scrittura merita sicuramente il plauso del pubblico, tanto più che abbandona i sicuri lidi del folk più solare per addentrarsi nei gorghi del black metal atmosferico. In generale la qualità dell’album è ottima, ma d’altronde gli Arkona ci hanno sempre abituati a dischi di grande fattura. Nel piacere di farsi terrorizzare da composizioni oscure, non tutto però sembra funzionare a dovere. In parte è dovuto proprio dall’estrema lunghezza di tutto l’album, ben 74 minuti. Il mondo di tenere tessuto dalle melodie poco rassicuranti della band, contenuto dai due estremi di “Mantra”, potrebbe non venire fruito nella sua interezza proprio per la durata protratta, andando a spezzare così il flusso delle energie oscure pensato dal combo russo. Anche all’interno delle singole canzoni, viene alla mente “Tseluya Zhizn'”, sembra quasi che in alcuni momenti ci si dilunghi un po’ troppo, perdendo il filo della narrazione e dando così vita a sezioni slegate tra loro. Queste pecche non sono tali da pregiudicare il risultato finale, visto che comunque il lavoro proposto dagli Arkona risulta affascinante. La strada intrapresa, sebbene lascerà spiazzati molti fan più legati all’altra faccia della band, può portare a nuovi territori da esplorare, che in quanto a varietà della proposta ed a qualità non fa mai male. “Khram”, pur con i suoi piccoli difetti, rimane un ulteriore passo in avanti per una band che ha voglia di osare.



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