Gus G.
Brand New Revolution

2015, Century Media
Hard Rock

Chi ha detto che i chitarristi debbano proporre solo noiosi dischi strumentali?
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 23/07/15

Il carisma e la bravura sono fattori decisivi per chi suona di fianco a un cantante solista, soprattutto se il musicista in questione è un chitarrista, ben più di una semplice spalla di chi presta voce e immagine alla musica. Lo sa bene un vecchio marpione come Ozzy Osbourne, cui da sempre piace accompagnarsi a chitarristi di livello eccelso, per non dire ai limiti della genialità. Gus G. è entrato ormai a pieno titolo nella famiglia degli axemen che hanno contribuito a fare grande il Madman, a fianco di nomi illustri come Rhandy Rhodes, Jake E. Lee, Zakk Wylde (con le dovute proporzioni, s'intende).

La carriera del trentacinquenne chitarrista greco assomiglia sempre più a una corsa in discesa, dai Firewind ai Dream Evil, passando per il tour mondiale con Ozzy Osbourne fino alla consacrazione della carriera solista. "Brand New Revolution" segue a brevissima distanza il debut di "I Am The Fire", segno evidente della volontà di suggellare un momento di grandissima ispirazione. Non fatevi trarre in inganno dalla opener "The Quest" che pare uscire dritta dalle mani di Michael Ammott o John Petrucci: con l'eccezione della prima traccia, "Brand New Revolution" è una raccolta di brani energici e accattivanti, estensione in chiave heavy di quanto già sentito sul disco d'esordio. Come un veterano consumato il chitarrista greco raduna attorno a sè un numero considerevole di personaggi di prim'ordine come Jeff Scott Soto, Mats Levèn, Elyze Ryd degli Amaranth e Michael Starr degli Steel Panther, solo per citare quelli dietro al microfono, senza contarne altri del calibro di Billy Sheehan e Dave Ellefson. Anche se i brani migliori sono quelli accompagnati da un altro vecchio leone dell'hard rock stelle e strisce, che di nome fa Jacob Bunton e che sembra ispirarsi in maniera neanche troppo velata al caro vecchio Ozzy. Le sorprese iniziano già dalla splendida title track, che non sfigurerebbe affatto in un ipotetico sequel di "Bark At The Moon", e proseguono con gli anthem di "We Are One" e "Behind Those Eyes", mentre ulteriori richiami dell'Ozzy più recente spuntano su "One More Try". Gus G mostra tutta la sua stoffa sui soli, nitidi e al fulmicotone, ma soprattutto con fulminei fraseggi dal grande appeal melodico (memorabile quello di "If It Ends Today").

Avere delle aspettative su un disco e trovarsi del tutto spiazzati è una bella sensazione che dà senso a chi ha il compito di scrivere e raccontare la musica: Gus G catalizza l'attenzione perchè segue la semplice regola seconda cui per fare bei dischi serve avere belle canzoni, l'unico mezzo per veicolare ed esaltare le capacità tecniche di qualsiasi musicista. Su questo ragazzo di Salonicco Ozzy, o chi per lui, ci ha davvero visto lungo.





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