Bob Dylan
Infidels

1983, Columbia Records
Rock

"Io e Dylan stavamo prendendo un caffè, dopo un suo concerto a Parigi in cui lui aveva eseguito "Hallelujah". Mi chiese quanto tempo avessi impiegato a comporre un pezzo come quello; due anni gli dissi, ma mentii, mi ce ne vollero molti di più. Allora io gli citai "I And I" fra i suoi pezzi che preferivo, e gli chiesi quanto ci avesse messo a scriverla. "Un quarto d'ora" fu la sua risposta".
 
Leonard Cohen
Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 06/06/16

Perché mai, direte voi, ripescare dallo sterminato repertorio di Bob Dylan un disco come "Infidels"? Non include nessuno dei suoi cavalli di battaglia, vendette poco e non fu portato neanche in tour. Per anni è stato testimonianza di uno dei periodi più bui nella carriera del menestrello di Duluth. La prima risposta, che è anche la più banale se volete, è chi si tratta di un disco eccellente, cosa per niente scontata per un ex folk singer costretto ad affrontare un decennio antitetico come gli Ottanta. Un'altra risposta è che sarebbe scontato (ed estremamente impegnativo) ripercorrere "Blonde On Blonde" o "Freewheelin' " per l'ennesima volta, dopo che l'hanno fatto meglio di noi scrittori e giornalisti, filosofi e professori universitari. Per i più distratti Dylan è ancora oggi il prototipo del cantautore impegnato, paladino della scena folk e dei diritti civili. Un'immagine che rappresenta solo in parte il suo vissuto artistico e che il diretto interessato ha abbandonato con tutte le forze ormai da tempo. Per tornare alle ragioni del disco, il titolo volutamente provocatorio e ahimè ancora attuale. Se qualcuno se ne uscisse oggi con un titolo del genere scatenerebbe un hype mediatico senza precedenti e forse anche qualcos'altro. Non che ci si potesse sentire tanto più al sicuro in quegli anni, con Khomeini che tuonava contro l'Occidente ed estremisti di varia estrazione impegnati a dirottare con scioltezza navi e aerei di ogni provenienza. Anche fra i dylanofili, di "Infidels" si parla poco (persino un capolavoro come "Blood On The Tracks" non è chiaccheratissimo...), eppure il disco ha molte frecce nel suo arco: per esempio una line up di tutto rispetto che vede in prima linea un certo Mark Knopfler. L'impronta del chitarrista scozzese sul disco si sente tutta nell'andatura swing e vivace dell'opera, aggiungiamo se volete un altro Dire Straits alle tastiere e un certo Mick Taylor alla sei corde e abbiamo detto tutto.

Da un punto di vista dei contenuti, "Infidels" è il ritorno al presente dopo una lunga fase "cristiana" che aveva visto Dylan nei panni di un insopportabile predicatore evangelico. I suoi live erano incentrati sul repertorio in questione (dischi trascurabili, con l'eccezione di "Slow Train Coming") e su lunghi sermoni che avevano, se non allontanato, di certo spiazzato buona parte del suo pubblico. Ma Dylan non è mai stato un artista prevedibile, non ha mai assecondato le pulsioni del suo pubblico né le facili soluzioni; Dylan ha sempre seguito il suo animo tormentato che lo ha condotto attraverso scelte artistiche talvolta discutibili ma senza dubbio affascinanti.

Il motore pulsante di questa corazzata-line up è rappresentata da Sly & Robbie, due affermati produttori reggae che si posizionano alla sezione ritmica. Difficile non pensare allo zampino del duo giamaicano sul brano d'apertura: "Jokerman" (Un pazzo? Un impostore? Un guru spirituale? Dylan stesso?) è quanto di meno dylaniano potrebbe esserci con i suoi ritmi caraibici simil reggae, nonché  uno dei pochi propriamente radiofonici di tutto il suo catalogo. Con "Infidels" la poetica di Dylan torna prepotente su tematiche politiche: i toni di "Union Sundown" suonano un po' troppo populistici per i suoi standard, ma ne fanno un autentico inno no global in anticipo sui tempi:
 
"Bè, sai, un sacco di gente si lamenta perchè non c'è lavoro 
io dico "perchè dite così 
quando niente di ciò che avete è di produzione americana?" 
Non fanno più niente qui 
sai, il capitalismo è al di sopra della legge 
 
Dice "non conta se non si vende" 
Quando costa troppo costruirlo a casa tua 
lo costruisci solo da qualche altra parte con minor spesa"

 
E se "Neighbourhood Bully" perora la causa di Israele con un testo geniale e un mood quasi springsteeniano, la docile "Sweetheart Like You" è stata di recente oggetto di recupero da parte di Francesco De Gregori  con il titolo "Un Angioletto Come Te" inserito nel suo disco tributo "Amore e Furto" (sui cui esiti artistici preferiamo sorvolare...). "License To Kill" ha un'andatura più convenzionale ma resiste ancora oggi alla prova del tempo e viene spesso recuperata nelle numerose retrospettive,ma se c'è un pezzo per il quale si deve spendere la parola capolavoro questo è senz'altro "I And I". Qui Dylan affronta il suo mito forse per la prima volta dagli anni '60 e lo fa con la stoffa del vero poeta, ponendo in essere un confronto con sé stesso attraverso una narrazione in flashback.  
 
"Ho preso un sentiero non battuto una volta, dove non è chi è veloce a vincere la corsa, 
ma chi è meritevole, chi sa discernere parole di verità". 
 
"Qualcun altro sta parlando con le mie labbra, ma io ascolto solo il mio cuore. 
Ho fatto scarpe per chiunque, anche per te, mentre io vado ancora scalzo"
 
Una power ballad scandita dagli accordi blues di Knopfler e Mick Taylor e che conferma Dylan come autore senza tempo. "Infidels" potrebbe essere equiparato ai tanti gioielli sparpagliati da Dylan in cinquant'anni di carriera, se non fosse per la spropositata sequenza di outtakes inspiegabilmente rimasti fuori dal disco. Quelle sessions saranno fra le più prolifiche di sempre (non si fa fatica a crederlo, con quella formazione...) e il numero di autentici gioielli che non troveranno posto disco è spaventosamente alto. Qualche titolo? "Blind Willie Mc Tell", considerata dai critici come una delle sue più belle canzoni in assoluto, "Foot Of Pride", "Someone's Got A Hold Of My Heart" (versione originale di "Tight Connection To My Heart" pubblicata sul successivo "Empire Burlesque", qui in una versione decisamente superiore). Pezzi che vedranno la luce soltanto alcuni anni dopo in una delle tante operazioni di recupero sui suoi archivi, e che faranno gridare allo scandalo i suoi fans. Tutto questo fa di "Infidels" un capolavoro mancato e a posteriori, un disco "recuperato". Ancora una volta Dylan fa i conti unicamente con sé stesso, ma non sembra curarsene molto. I suoi testi restano un universo di citazioni bibliche e tradizionali in cui immergersi per dare, con poche scarne parole, una lucida spiegazione dell'America e dei tempi moderni.




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