Aerosmith
Nine Lives

1997, Columbia Records
Hard Rock

Recensione di Francesco De Sandre - Pubblicata in data: 16/07/12

Recensione a cura di Francesco De Sandre


La classe di una rock band sta anche nel sapersi reinventare, per poter coinvolgere fan e simpatizzanti anche dopo tanti anni di successi. Giunti al dodicesimo album di studio, gli Aerosmith si reinventano viaggiatori musicali, traendo ispirazione dalla magia dell’oriente, dove sorge il sole, come a ribadire che per la carriera del quintetto di Boston non è ancora giunta l’ora del tramonto.


Un celebre proverbio utilizzato per ricordare che la vera qualità è un valore molto raro recita: la classe non è acqua. Chi quindi sperava di continuare a veleggiare sulle acque calme e tra le morbide sonorità di “Get a Grip”, solcando rilassanti meandri musicali come “Crazy”, “Amazing” e “Cryin’”, deve senz’altro riprogrammare la propria la rotta.


L’apertura di “Nine Lives” è di grande impatto: la title track, canzone dalle sonorità non a caso graffianti, squarcia le vele dei naviganti, gettandoli in balia delle caotiche onde dell’inconfondibile sound energico. La successiva “Falling In Love” è coinvolgente ed apre la strada alla prima romanticissima hit, “Hole In My Soul”. Queste prime canzoni incarnano perfettamente la trama sonora intrecciata nel disco, un sodalizio di tradizione e innovazione, con velature orientali ispirate dal mistico “Taste Of India” che si collega come un ponte al seguente singolo di grande successo “Full Circle”: dolce e accattivante, chiude la parte introduttiva dell’album. Dalla più aggressiva “Something’s Gotta Give” si ritorna in balia del rock’n’roll, i ritmi e le velocità incalzanti di “The Farm” e “Crash”, solo momentaneamente interrotti da “Ain’t That A Bitch”, prendono il sopravvento assieme alla chitarra di Joe Perry e rappresentano un riferimento alle classiche sonorità degli esordi.


Dopo la parentesi caotica, la chiusura dell’album è introdotta in grande stile dalla celebre accoppiata “Kiss Your Past Goodbye” - “Pink”, due singoli molto simili in cui è racchiusa l’anima musicale degli Aerosmith, velata di blues, armonia e dell’inconfondibile qualità canora del frontman Steven Tyler. “Falling Off” e “Attitude Adjustment” distraggono per un attimo dal clima disteso creato dalle precedenti canzoni, lasciando poi spazio a “Fallen Angel”. L’ ideale traversata all’interno dell’album che aveva preso il via tra le incontrollabili ed energiche onde, vede ora la conclusione della rotta: il viaggio termina in una tranquilla baia, caldamente illuminata dal tramonto del sole, lo stesso sole che ha ispirato gli Aerosmith alla creazione della suggestiva atmosfera orientale che contraddistingue il disco. “Fallen Angels”, che si protrae a lungo con piccoli assoli e suoni etnici, è l’arrivederci in grande stile, la conclusione di un album mixato con qualità e stile.


La particolarità di “Nine Lives” emerge anche della strumentazione scelta: l’uso di ottoni, archi e di strumenti tipici della tradizione folk indiana conferisce unicità ai brani. Grande merito va agli autori per aver concepito un album concreto e personalizzato: nonostante gli anni passino in fretta, pare davvero che i carismatici Aerosmith riescano sempre a reinventarsi, a sorprendere e colpire, come se da imprevedibili artisti del tempo possedessero davvero nove vite. Graffianti, granitici, grattacieli nella metropoli del rock.


Recensione a cura di Tiziana Ursino

Se dovessimo fare un’analisi generale sulla vita artistica di questa band made in USA, potremmo notare come in realtà gli Aerosmith non siano mai stati una rock band di culto a livello mondiale, o perlomeno come lo sono stati i Rolling Stones e i Led Zeppelin a cui Tyler e compagni si sono sempre ispirati. Sì certo, molti artisti hanno dichiarato di aver subito il fascino artistico dei bostoniani Aerosmith, come Mötley Crue o Gun’s Roses ad esempio, ma quello che li rende interessanti e “diversi” rispetto agli altri colleghi è che non sono stati mai delle vere e proprie icone. Eppure nonostante ciò, la fama che questa band ha saputo guadagnarsi dagli inizi della loro carriera fino ad oggi, è evidente.

Quando esce "Nine Lives" siamo quasi alla fine degli anni Novanta, il periodo in cui gli Aerosmith, capitanati dal carismatico Steven Tyler, godono di un enorme successo planetario ricco di soddisfazioni e riconoscimenti di ogni tipo: concerti, milioni di dischi venduti, Grammy Awards vinti. In tutto il decennio producono solamente due dischi: "Get A Grip" del 1993 e "Nine Lives" del 1997. Il primo, eterogeneo e variopinto nei suoni, che ha visto tra l’altro la partecipazione di Lenny Kravitz, è stato un disco molto fortunato che ha permesso alla band in questione di vincere due dischi d’oro e sette di platino; il secondo album si presenta con lo stesso filo conduttore che ha caratterizzato il disco precedente. "Nine Lives" è un album piacevole da ascoltare ma forse un po’ eccessivamente lungo che non rimane impresso tutto nella memoria dell’ascoltatore, se non forse per qualche singolo di successo come la ballad "Hole in My Soul" o un brano in stile hard rock dalle sonorità ledzeppeliane e orientaleggianti come "Taste of India", che si presenta come uno dei pezzi più interessanti e apprezzati dell’intero album, o "Pink", primo singolo estratto dall’album portato al successo da Mtv grazie al videoclip, oppure pensiamo al brano "I Don’t Want to Miss a Thing", pubblicato inizialmente come bonus-track nell’album e successivamente (nel 1998) divenuto colonna sonora del film "Armageddon - Giudizio finale".

A proposito di quest’album si potrebbe spendere qualche parola anche sull’aspetto grafico della copertina del disco. Inizialmente, la copertina proposta non era quella che conosciamo e che si trova tutt’ora in commercio: in essa vi era raffigurato il Dio Krishna, divinità indiana, con la testa di gatto e il corpo da donna e attorno vi erano raffigurate delle decorazioni che riprendevano le posizioni del Kama Sutra. Avendo offeso l’indole religiosa di un popolo indiano, gli Aerosmith hanno deciso di sostituire la copertina originale con quella attuale che raffigura un gatto a cui vengono lanciati dei coltelli.

"Nine Lives" si caratterizza quindi per un’eterogeneità di suoni mescolati per bene tra di loro, ottenendo così un successo che si potrebbe definire mainstream, tanto da far schizzare la band americana al numero uno della classifica di Billboard. Le varie influenze si possono scorgere subito all’interno dei quindici brani che compongono l’album: dal rhythm and blues all’hard rock, passando quindi da un suono più pesante ad un suono più melodico rispetto ai lavori degli anni ’80, aprendo così la strada ad un lavoro pop.





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