Riverside
Wasteland

2018, InsideOut Music
Progressive Rock

"Wasteland" è il nome che i Riverside hanno dato al loro nuovo inizio. Un'ode al dolore per interiorizzarlo ed accettarlo, per disegnare una rinnovata origine.
Recensione di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 28/09/18

La vita dell'essere umano è un susseguirsi di avvenimenti. Alcuni sono frutto di decisioni più o meno razionali, comunque  determinabili, governate da un potere di scelta -proprio o altrui- e di un consequenziale spirito d'azione; altri sono semplici fatalità, cose che accadono perchè il "caso", o come lo si voglia chiamare, lo vuole.
Ad ogni modo le decisioni involontarie ma "casuali" ed imposte che si insidiano nella vita dell'uomo portano sempre alla nascita di sentimenti di rifiuto, insofferenza, tristezza, dolore, rabbia e talvolta disperazione. L'uomo è per natura capriccioso e intollerante verso le cose che non può gestire. Ad esempio, l'uomo non sopporta di essere messo di fronte alla privazione di qualcosa, alla perdita. Questa situazione può evolversi in due vie: una fine senza un prosieguo o un nuovo inizio. Questo secondo caso è il caso dei Riverside.

Il nuovo inizio dei Riverside si chiama "Wasteland". La band polacca, dopo la morte improvvisa del chitarrista Piotr Grudziński avvenuta nel febbraio di due anni fa, ha dovuto affrontare il caso dritto in faccia, con in sottofondo la silenziosa, rispettosa e dubbiosa attesa da parte dei fan curiosi di scoprire quello che sarebbe stato il futuro della band.

Ciò che ne è uscito è stata una composizione di nove tracce in cui la band raccoglie, sintetizza e plasma il nuovo inizio. Una rinascita a tre, con la saggia scelta di non introdurre un nuovo chitarrista (Maciej Meller è stato arruolato solamente come chitarrista live). D'altronde non si poteva far diversamente, lo stile di Grudziński era fondante per il sound della band: qualsiasi altra scelta si sarebbe rivelata un ripiego e avrebbe sottolineato la mancanza. "Wasteland" raccoglie in sè anche questo: l'incertezza dell'andare avanti dopo la morte, la difficoltà e il coraggio di intraprendere una nuova via. Perciò la pubblicazione della raccolta strumentale "Eye Of The Soundscape" -dedicata al chitarrista e opera alla quale lo stesso aveva contribuito- chiude la storia del quartetto e apre a "And then there were three", a "Wasteland", il punto più doloroso della carriera della band, da sigillare con cura, perchè è giusto ricordare le cose belle, ed è altrettanto giusto ricordare quelle meno belle.  E' il coronamento di un processo di interiorizzazione della tragedia, necessità catartica di trasformare in musica le emozioni.

Una delle caratteristiche della band polacca è stata quella di rivedere il suo sound, rinfrescarlo con elementi nuovi o rivisitati, ad ogni uscita, in un percorso che dal grigio aveva progressivamente introdotto del colore pastello con l'ultimo "Love, Fear and The Time Machine". Anche in "Wasteland" si raggiunge un nuovo livello compositivo, seppur non sia il migliore album che i Riverside abbiano mai composto (difficile sceglierne uno); è sicuramente il lavoro più significativo, il più concretamente emozionale, in cui l'ardore melodico schiaffeggia l'ascoltatore brano dopo brano. Tantissimi gli elementi distintivi che dai lavori precedenti emergono in questo nuovo album: netto è il riferimento a "Second Life Syndrome", "Shrine Of New Generation Slaves" e all'ultimo sopra citato. Così come è ampia la ricerca di elementi "piaciosi" del prog (Porcupine Tree, Opeth, Anathema).

"Wasteland" è un concept album che trascina l'ascoltatore in uno scenario post-apocalittico, tetro e desolato, gli riversa addosso tutto il peso del dolore e lo sfida a ri-vivere. Ovviamente, ogni inizio che si rispetti comincia il giorno dopo: "The Day After" con la voce a cappella sfumante di Mariusz Duda che riflette sulla tragedia introduce l'intero lavoro. Una via di mezzo tra una ninna nanna e un canto funebre, che sfuma gradualmente in un violino tagliente che introduce i riff graffianti e pericolosi di "Acid Rain". Qui si riconosce subito il sound tipico della band, il prog dei Riverside, arricchito da sfumature opethiane. Un riff martellante che comunica un'ossessione prima di venire consolata dal basso e dai cori, che lasciano poi spazio ad un bellissimo scambio di battute tra Duda e Kozieradzki che accoglie "Vales Of Tears". La reazione più semplice e umana che si possa avere di fronte a qualcosa che non piace: il pianto. Come può l'uomo affrontare il potere del caso? In nessun modo se non osservare la sua invincibilità trasformarsi in un’attestata e ridicola impotenza. E allora si piange. Il brano è quello che vanta più sfumatore rock, qualche sentore di Iron Maiden fuso ad atmosfere wilsoniane, prima di passare alla delicatezza di "Guardian Angel", una dolcissima ballata su chitarra acustica che ricorda i colori di "Love, Fear and The Time Machine". Un brano messo lì a richiamare l'idea che da qualche parte per ognuno di noi c'è un'anima salvatrice e rigenerante, che consola e riscalda. "Lament" fa tramontare la tiepida luce che si era creata: un vero e proprio canto di dolore per la perdita di un padre da parte del figlio (riferimento all'episodio personale di Duda) dove gli arpeggi di chitarra si scontrano con i suoni imponenti delle tastiere di Michał Łapaj e agli stridii dei violini di Michał Jelonek, con i cori che riprendono l'open track.

La strumentale "The Struggle For Survival" rinvigorisce i toni, una ricarica di tensione in paesaggi alienanti costruiti magistralmente dall'interazione pizzicante e ipnotica tra gli strumenti, prima di affrontare la rassegnazione di "River Down Below". "Wasteland" si rivela l'apice dell'intero lavoro: si sente "Reality Dream", si sente l'anima dei Riverside. La band fa risuonare in ogni nota l'altalena delle emozioni che ha popolato l'intero disco: dalla paura, alla disperazione, che sfocia poi in rabbia e che si tramuta in rassegnazione. Come ogni fine che si rispetti, eccoci arrivati a "The Night Before" in cui si attesta che le canzoni non devono per forza essere complicate per esprimere emozioni altrettanto complicate. Le dolci delicate note del piano introducono un'altra ninna nanna che canta accettazione, consapevolezza, interiorizzazione e consequenziale catarsi, raggiungimento di qualche status di pace. La voce di Duda e le dita di Łapaj creano qui qualcosa di indescrivibile. La giusta conclusione del cerchio.

Un'ode al dolore per accettare il dolore: "Wasteland" è il perfetto nuovo inizio per i Riverside.




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