Therion
Secret Of The Runes

2001, Nuclear Blast
Symphonic Metal

Mille mondi favoleggiati in presenza di un poliedrico sogno musicale
Recensione di Marco Migliorelli - Pubblicata in data: 31/12/17

Immaginatelo come una notte buia, il silenzio prima della musica. Il risveglio, quello improvviso, è dato da un ampio avvolgente abbraccio. Come una sinfonia di voci e suoni. Un avvolgimento sinfonico che di quella notte porta, oscuro il gelo, e in un formicolio sonoro sensazioni contrastanti di calore che avvampa e pervade le membra. Così Odino nasce e muore a se stesso, in un istante terribile ed eterno, e accede ad una stilla fiammante del segreto che quella sinfonia porta nel grembo.


Ecco "Secret of the Runes". Siamo nel 2001 e il millennio inizia corroborato da un'eredità sinfonica che congeda l'ultima decade del '900 col pieno onore delle armi. Lungi da una standardizzazione completa del genere metal sinfonico, il progetto Therion, depurato delle suggestive origini ancora devote alla durezza del death, pone il terzo sigillo su un sound che dopo "Vovin" e "Deggial" riequilibra la componente sinfonico-lirica su una matrice più massicciamente heavy metal: chitarre corpose, rocciose e luminose insieme nei solos ed un supporto corale ai brani che insieme agli archi e ad altri strumenti a fiato ben bilancia una sezione ritmica semplice e calzante. Con una simile premessa, è scontato resti intatta la leggerezza degli undici brani del lotto (tredici se si includono le due bellissime cover, Abba e Scorpions gustosamente rivisitati, nell'edizione in digipak).


All'inizio è "Ginnungagap" il grande vuoto cosmico, opener dalla forte struttura chitarristica e connotata da un avvitamento di cori maschili e femminili in un perfetto connubio fra la marzialità del drumming e lo scorrer più lento del paesaggio orchestrale. L'andatura del brano resta sostenuta, e ben salda al timone del rapimento con un break centrale di forte presa, in una parola: immersione.

 

"Fall deep into Void / (in the) black hole of Nothing"

 

Immersione dunque, è la chiave d'accesso al disco, la cui omogeneità non nasconde scarsità d'idee ma rivela una sua profonda unicità d'intenti che caratterizzerà anche i lavori successivi. Non manca comunque occasione ai brani per differenziarsi fra loro e spiccare, variegando l'esperienza del trip sinfonico. Accade ad esempio fra il quinto e il sesto brano. "Schwarzalbenheim", cupa e rituale, piega verso sospensioni puramente orchestrali, con gran lavoro di violino e violoncello. La successiva "Uusalfheim", addolcisce i cori che indulgono, fin dall'inizio, alla lentezza di un giro di chitarra acustica che vanta la semplicità della ballata pop, carezzandone la dolcezza più riposta: una malìa insomma, fino al puro ipnotismo del solo centrale, volto a ricordare la chitarra come ben più che mera comprimaria.


Ancora "Muspelheim" procede per ineludibili contrasti, fra un quieto, lirico inizio e l'esplosione decisa di chitarra e batteria, in perfetta sintonia con la lectio magistralis del comunque più lento e orchestrale, onirico "Vovin", sebbene sia il caso di dirlo la sua "Wine of Aluqa" resta brano ineguagliato e fra i migliori veloci composti dal caro Christofer, superiore anche alla quasi conclusiva "Vanaheim", ultimo sussulto heavy della seconda metà dell'album.


A ridefinire quali siano le eccellenze in tema di metal sinfonico, ancora dopo quasi vent'anni e in barba ad un genere ad oggi amato e abusato insieme, questa creatura musicale a nome Therion, - il cui sfuggente profilo è quello di mille mondi favoleggiati in presenza di un poliedrico sogno/viaggio musicale -, non poteva, anche in questo caso, non abbandonarsi alla fascinazione di componenti corali e orchestrali rigorosamente "reali". Con reali si intende non solo viva mano sulle stringe e vive voci ai microfoni in fase di registrazione, ma anche l'aver saputo mantenerle tali in fase di missaggio. Certo i suoni non sono limpidissimi ma è un giusto e necessario compromesso al fine di alimentare quel calore avvolgente che è ragion d'essere di quel "sinfonico" di cui poco sopra. Il che sottende ad una visione d'insieme più ampia, data per profonda intuizione e che tende più alla suggestione mitica del miraggio che alla precisione analitica. Un modo della conoscenza antico al quale questa musica, con notevole fascino, si avvicina.





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