Urla, strepiti, teschi pop up e ragnatele di plastica e alla fine tutti fuori a bere una birra. Dai fasti Nineties dei White Zombie e dell'industrial metal - di cui loro rappresentavano il versante mainstream - passando per la fortunata carriera solista e, in seguito, cinematografica, il buon vecchio Rob non ha mai cessato, se non di calcare la cima, quantomeno di bazzicare i crinali della fama nutrendo nei decenni un folto nugolo di fedelissimi sparsi per l'Occidente.
Anche il presente "The Lunar Injection Kool Aid Eclipse Conspiracy" non fa eccezione e come i suoi predecessori contiene tutto ciò che da Mr. Zombie è lecito aspettarsi. Il terreno lo aveva preparato l'anno scorso il singolo ed opener dell'album "The Triumph Of King Freak (A Crypt Of Preservation & Superstition)", balzato quasi subito ai piani alti delle metal charts. La formula messa a punto da Rob circa trent'anni fa e mai più sconfessata consiste sostanzialmente nel farcire e camuffare con un meltin pot di generi diversi ed un profluvio di sovraincisioni, un'ossatura hard rock solida e piuttosto convenzionale, tutto sommato in linea col mainstream rock USA anni '80 - '90. Al solito, non mancano pezzi di (relativo) assalto, oltre all'opener, "The Eternal Struggles Of The Howling Man", ma l'assalto non è mai stato il main dish che lo chef Zombie ci serve, e le distorsioni sono solo un flavour tra gli altri. Si potrebbe anzi dire che negli anni la componente psych e acida abbia finito per prevalere, come testimoniano allucinazioni rock come "Boom-Boom-Boom", "Shake Your Ass-Smoke Your Grass", "Crow Killer Blues" e in generale la seconda metà del lavoro. L'immaginario attinge come sempre dal gran serbatoio horror americano del ventesimo secolo, che Mr. Zombie non si fa scrupolo di bazzicare anche come movie director.
I punti di forza del lavoro sono un po' anche i suoi limiti: suoni che nei primi '90 risultavano innovativi, oggi mantenuti invariati, suonano inevitabilmente "vintage"; per sentire quanti passi avanti ha fatto nel mentre l'evoluzione dell'elettronica da un lato e il metal dall'altro occorre rivolgersi decisamente ad altre parrocchie. Quella solidità di cui si parlava sopra rischia talvolta di risultare un po' prevedibile e nel bilancio tra fumo e arrosto si sospetta che a volte prevalga il primo. Tutti questi limiti emergono con evidenza e sono ricapitolati da "Get Loose", ineccepibile e, al contempo, banale, mentre molto interessanti sono i passaggi, curatissimi, da un brano al successivo. In complesso dunque un lavoro piacevole che poco aggiunge o toglie a quanto già proposto da Rob e che nella sua leggerezza resta comunque di qualità, pur senza guizzi.