Durante la seconda metà degli anni '90, dopo l'esplosione del crossover, moltissime band si sono lanciate sul cosiddetto nu metal. Le costanti di questo genere erano fin troppo note ed abusate: bastava un cantante che sapesse rappare, oltre che scartavetrarsi le corde vocali, una chitarra ribassata e una fusione di generi per scalare le classifiche e infiammare i palchi di tutto il mondo. È però inevitabile che per essere poi consacrati negli anni a venire serva qualcosa di più ed è risaputo che la prova del tempo è sempre la più difficile da superare: sono moltissime le band che, a causa di una effettiva mancanza di idee e spessore musicale o di un'incapacità di rinnovamento, sono state investite dall'inesorabile passare degli anni e delle mode, scomparendo dal panorama musicale dopo solo pochissimi anni di attività ad alti standard.
Tra le band che invece hanno sempre saputo tenersi a livelli consoni ad artisti di un certo calibro, non possono che essere annoverati i Deftones. Il quartetto di Sacramento infatti, fin dai primissimi anni di carriera, si è dimostrata una band solida e con una personalità ben definita, ma capace anche di evolvere ed affinare il proprio sound. Tutto ciò è già riscontrabile nel secondo album della band, "Around The Fur", che prende quanto di buono c'era stato nell'esordio "Adrenaline" (molto ispirato al sound dei Korn) e lo porta al livello successivo. È ammirevole il modo in cui una band di ragazzi poco più che ventenni sia riuscita ad emergere dal calderone del nu metal creando immediatamente uno stile così personale. Le costanti di "Around The Fur" (e dei Deftones negli anni a venire) sono tre: la camaleontica voce di Chino Moreno, il devastante riffing abrasivo come l'asfalto di Stephen Carpenter e la ritmica mai banale e scontata di Abe Cunningham (accompagnato dal martellante basso del compianto Chi Cheng).
"Around The Fur" è composto quindi da una serie di pugni nello stomaco, dieci tracce in cui la pura violenza sonora viene alternata a parti più lente e angoscianti, per poi sfociare in rarissimi casi nella melodia vera e propria. Protagonista di queste variazioni sul tema è la versatile voce di Chino Moreno, in grado di muoversi tra sussurri ansiogeni e lancinanti urla di rabbia, per poi aprirsi in ritornelli quasi dolci e sognanti. Esemplificazione di quanto detto è l'opener "My Own Summer", in cui la band accumula nelle strofe tutta la tensione che viene poi scatenata nel ritornello. Se "Ihabia" è un altro pezzo con caratteristiche simili al precedente, con "Mascara" iniziano le sorprese interessanti: il brano viene costruito lentamente dai lamenti di Moreno, che si appoggiano sul gelido arpeggio di Carpenter e crea un'atmosfera carica di angoscia. La doppietta Around The Fur-Rickets è invece di quelle che non fanno prigionieri e in questo caso è Cunningham a rendersi protagonista assoluto dei due pezzi con una lodevole performance fin dall'intro della devastante titletrack. La seconda sorpresa del disco è "Be Quiet And Drive", che verrà ricordato come uno dei brani migliori della band. Merito di ciò è la facilità con cui vengono accostate la potenza degli strumenti e la disarmante dolcezza del cantato di Moreno, in grado di cullare l'ascoltatore in mezzo alla tempesta sonora creata da Carpenter. "Lotion" è un brusco risveglio dalla realtà parallela in cui ci aveva immersi il brano precedente, grazie anche al nervoso basso di Cheng, che si fa notare anche nella successiva "Dai Th Flu". L'ultimo vero e proprio assalto sonoro è costituito da "Head Up" (che vede la collaborazione di Max Cavalera), supportata da un riff tanto ripetitivo quanto azzeccato, su cui Moreno regala una performance di rara violenza e intensità. Il lavoro si chiude sulle note più tranquille di "MX", che racchiude e riassume tutti gli elementi sviluppati nel corso dell'album.
Grazie ad una tracklist senza filler e senza un secondo di pausa, "Around The Fur" ha spianato la strada del successo ai Deftones, che a differenza di altre band si sono anche dimostrati lungimiranti nell'affinare costantemente il proprio sound, accogliendo diverse influenze ed arrivando nel giro di pochissimo al capolavoro "White Pony". Ma è qui, in questa giungla intricata fatta di riff, urla e ferocia che il quartetto ha messo le basi per gli anni a venire e ha conquistato fedeli schiere di fan che anche dopo 20 anni non si stancano mai di tornare al 1997. Ancora oggi "Around The Fur" può essere considerato uno dei dischi simbolo di quel periodo e un lavoro a cui moltissime band si ispireranno negli anni a venire.